Chiude la Black & Decker di Lecco

Chiude la Black & Decker di Lecco Chiude la Black & Decker di Lecco La multinazionale: costi eccessivi, poca flessibilità Il ministro dell'Industria Pierluigi Bei-sani alle prese con il caso Black & Decker LECCO DAL NOSTRO INVIATO «A Singapore ho chiuso una fabbrica con un fax. Qui vi sto spiegando le ragioni...». Insomma che volete di più? Mister Bob Schwartz, vice presidente di Black and Decker, non si dimenticherà quel viaggio a Lecco l'il febbraio scorso: forse l'ultima puntata in Brianza: la multinazionale ha confermato ieri la chiusura entro l'anno della fabbrica di Molteno: 672 dipendenti, la metà donne, 250 assunti negli ultimi due anni. Tutto si attendeva mister Schwarz, probabilmente, salvo che esser salutato da tamburi, fischietti e bandiere rosse. Qui, in terra leghista, dove il tasso di disoccupazione è il più basso d'Italia (il 2,9%), i redditi tra i più elevati e la cattolica Firn ha molti più iscritti della Fiom. Ma la globalizzazione, con le sue regole ferree ha il potere, sembra, di risuscitare rabbie antiche anche nelle terre della ricchezza, dove le aziende faticano a trovare saldatori o operai specializzati, al punto da andarli ad inseguire, è il caso del gruppo Costamasnaga, nel Sud, offrendo contributo per alloggio e viaggi, oltre allo stipendio. E non stupisce, perciò, che il caso Black and Decker rischi di as¬ sumere un valore emblematico: la globalizzazione comincia a mordere l'industria italiana. E comincia da qui, terra del lavoro dove i ragazzi lasciano la scuola a 14 anni perché sono tante, troppe le occasioni per intascare subito uno stipendio senza l'«inutile» diploma: ragionamento pericoloso in tempi di economia globale, quando una multinazionale può spostare la sua produzione nel giro di poche settimane. Molteno chiude, infatti, perché lo chiede Wall Street. Black and Decker guadagna (227,2 milioni di dollari nel '97) ma i gestori dei fondi pensione Usa chiedono che guadagni sempre di più. E allora bisogna ristrutturare, tagliare, puntare ad un'impresa sempre più piccola ma capace di vendere di più. E così si chiude a Singapore, in Canada, poi l'Australia e l'Italia. Anche a Lecco-Molteno dove, tre anni fa, erano state trasferite le lavorazioni effettuate in Germania, con investimenti massicci. Allora la globalizzazione aveva favorito l'Italia, oggi la Gran Bretagna. Domani chissà. Che può fare la politica davanti a un caso del genere? Il governo convoca le parti, Fausto Bertinotti incalza («è l'ora di reagire contro l'atteggiamento ricattatorio delle imprese»), il fronte ostile alle 35 ore giudica il caso Black and Decker il primo di una lunga serie, nel caso che la legge passi. Mister Schwarz, in verità, la questione dell'orario non l'ha nemmeno citata: l'Italia, ha detto in sintesi, ha costi del lavoro eccessivi e poca flessibilità. «Eppure - replica Alberto Anghileri della Fiom - qui a Molteno di disponibilità ne abbiamo sempre dimostrata». E cioè? «Lavoro do¬ menicale, quando ce l'hanno chiesto. E così il turno notturno, o d'estate, l'assunzione di squadre di studenti a termine, pur di non rallentare la produzione». Ma forse la flessiblità c'entra poco o nulla. Come spiegare, altrimenti, che qui a Lecco altre 22 multinazionali (dalla Hoechst a Tréfimétaux) si trovino benissimo e, in alcuni casi (la Fiocchi Snaps, di proprietà della tedesca Prym, ad esempio) la casa madre preferisca puntare sulla filiale italiana che sul Paese d'origine? E non c'entrano nemmeno le strade, i disservizi... «Non credo - spiega Anghileri da Molteno a Milano ci sono venti minuti di macchina...». La realtà, insomma, è che di fronte ad una multinazionale gli altri protagonisti, la politica, i poteri locali, il sindacato rischiano di trovarsi spiazzati e impotenti. «La globalizzazione inizia a mostrare il suo volto peggiore», commenta Maurizio Crippa, direttore dell'Unione Industriale di Lecco. La chiusura della fabbrica di Molveno avrà conseguenze pesanti per la zona, visto che almeno 80 imprese costituiscono l'indotto della Black and Decker. Ma Crippa non drammatizza: «Gli artigiani - spiega - sapranno indirizzare il loro prodotto altrove e l'economia locale è in grado di assorbire i lavoratori. A meno che non senta ripetere ragionamenti pazzeschi: gente, e qui capita, che rifiuta un posto perché dista 5 chilometri da casa...». L'importante, semmai, è capire che nemmeno qui, terra ricca, capace di assorbire 3 mila extracomunitari in regola nel ciclo produttivo, si può dormire sugli allori. E disertare la formazione professionale... [u. b.j