Teheran non perdona «Rushdie deve morire»

Teheran non perdona «Rushdie deve morire» Il governo a Londra: inutile insistere, la fatwa è irrevocabile Teheran non perdona «Rushdie deve morire» LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Doccia fredda, d'improvviso, sulle speranze che la «fatwa» islamica contro Salman Rushdie - la condanna a morte pronunciata nove anni fa dall'ayatollah Khomeini - possa allentarsi. «E' irrevocabile», fa sapere da Teheran il governo iraniano, poche ore dopo la notizia che la taglia sulla testa dello scrittore anglo-indiano è stata aumentata. Anche il nuovo interessamento del governo britannico (Rushdie è stato ospite sabato sera del primo ministro Tony Blair nella residenza di campagna) passa in secondo piano; e il passo ufficiale del ministro degli Esteri Robin Cook, a nome dell'Ue, finisce diritto nel dimenticatoio. «Una fatwa pronunciata da una suprema autorità religiosa è irrevocabile e lo rimarrà nel corso della storia», ha precisato l'agenzia «Ima», riferendo le parole di Mahmoud Mohammadi, portavoce del ministero degli Esteri: «Il governo iraniano ha già espresso la sua posizione su tale materia ed è sorprendente che il ministro degli Esteri britannico abbia chiesto di ridiscuterne». Il documento invitava l'Iran a non attuare la fatwa e a collaborare invece con l'Unione europea per trovare una soluzione soddisfacente; ma secondo Mohammadi esso «emana dalla mancanza di comprensione dei concetti di legge islamica e di fatwa, che è spiacevole». Che cosa si siano detti Rushdie e Blair durante la cena ai Chequers non è noto. Probabilmente l'autore dei «Versetti satanici», costretto da nove anni a circolare sotto scorta e a cambiare abitazione ogni pochi giorni, ha chiesto al premier britannico di agire per risolvere l'annoso problema, come già aveva promesso di fare John Major dopo un incontro nel 1993 ai Comuni. E probabilmente Blair gli ha illustrato l'iniziativa del governo, che dovrebbe completarsi nei prossimi giorni dopo un incontro fra Rushdie e Cook. Ma sicuramente le notizie provenienti da Teheran hanno spento sul nascere le loro speranze. «La mia vita è ancora a rischio», ha detto Rushdie alla «Bbc»: <;E' come cercare di camminare con scarponi di piombo». E a quelle scomode calzature ha aggiunto peso l'ayatollah Sanei, capo della fondazione religiosa «15 Khordad», che aveva messo una taglia di due milioni e mezzo di dollari sulla testa di Rushdie. Sanei aveva annunciato sabato che quella taglia, a fatwa ese¬ guita, «potrebbe aumentare». Nove anni, quindi, e nessun progresso. Anzi, un improvviso irrigidimento, forse collegabile alle nuove tensioni nel Medio Oriente. Vecchi nemici, Teheran e Baghdad starebbero trovando una nuova solidarietà in funzione anti-americana e anti-britannica. Non a caso il giornale conservatore «Jomhuri e-Islami», che all'anniversario della fatwa contro Rushdie ha dedicato 16 pagine, affermava: «La nazione iraniana e tutti i popoli musulmani si oppongono fermamente all'invasione culturale dell'Occidente e più che in qualsiasi altro momento credono nella storica fatwa dell'ayatollah Khomeini per l'esecuzione del voltagabbana Salman Rushdie». Lo scrittore ha un bel dire che tutti gli uomini «hanno diritto alla libertà d'espressione, che contempla anche il diritto di dire l'indicibile». Teheran replica con un coro sdegnato. «La punizione per avere insultato il Profeta dell'Islam è la morte - afferma il capo della magistratura, ayatollah Morteza Moqtadaei - e l'Imam Khomeini ha preso la giusta decisione». Persino «Salam», il giornale che sostiene la linea moderata del nuovo presidente Mohammad Khatami, ha ribadito che la fatwa va rispettata: «Chiediamo che il nuovo governo riconosca la moralità della fatwa e ne esiga il rispetto». La risposta non si è fatta attendere. [f. gal.) «E' la giusta punizione per avere insultato il Profeta dell'Islam» .JL$f -Ofr Lo scrittore anglo-indiano Rushdie e sopra una caricatura pubblicata su un giornale iraniano

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