Elisabetta-Max di Monica Bonetto

Elisabetta-Max Elisabetta-Max E: LLA ha poco più di vent'anni quando rimane ve1 dova. Sono gli anni della Repubblica di Weimar, della grave crisi economica che attanaglia la Germania. Il marito di Ella, prima che il cancro se lo portasse via, faceva l'operaio gruista. Ella decide in fretta, è questione di sopravvivenza: prenderà il posto del marito, ne assumerà l'identità e lo sostituirà sul lavoro . Da questo antefatto, sufficientemente straordinario da sembrare frutto della fantasia e invece realmente accaduto, prende il via «Max Geriche», intenso monologo teatrale che sarà in scena al Teatro Cari- gnano da martedì 17 a domenica 22 febbraio (ore 21, tel.517.62.46). Il testo, che in originale si intitola «Jacke wie hose» e cioè «giacca uguale pantaloni», è stato scritto dal drammaturgo e regista brandeburghese, Manfred Karge, formatosi al Berliner Ensemble, che lo mise in scena una quindicina di anni fa affidando l'interpretazione a Lore Brunner. Nel 1984 quell'allestimento venne anche in Italia, proprio a Parma, ospite dalla manifestazione Teatro Festival. Per alcuni anni il regista Walter Le Moli cercò il modo di farne un'edizione italiana: «Me ne sono innamorato immediatamente, ma i problemi che lo spettacolo poneva erano molti, a cominciare da quello di trovare un'attrice in grado di affrontare quella gestualità, quella vocalità». Fino al giorno, cinque anni dopo, in cui incontrò Elisabetta Pozzi. E insieme decisero di tentare. Il lavoro compiuto dall'attrice è stato lungo, profondo, emotivamente complesso. Perché il testo coglie Ella dopo quarant'anni di finzione, quando, come recita una battuta (voluta dal regista come sottotitolo) «la più gran parte della vita è passata, menoma¬ le». Ora che è giunta alla pensione, ora che il travestimento che l'ha soffocata e umiliata per tutta l'esistenza non è più necessario, Elia-Max non sa più chi è. Grottesca maschera di ermafrodita senza identità, racconta sul filo della memoria una finzione che le ha corroso l'anima e la mente e che l'ha svuotata di ogni sentimento. Gli abiti femminili conservati a lungo, indossati, non le riconsegneranno più ciò che ha negato per troppo tempo: ne faranno, invece, un tragico clown variopinto e degradato che nulla ha ormai a che fare con la donna che era. A Elisabetta Pozzi, otto anni fa, andarono i consensi entusiastici ed unanimi della critica e del pubblico per lo straordinario lavoro compiuto sul personaggio, per la cura quasi maniacale con cui venne studiato ogni gesto, ogni postura, ogni singola emissione vocale che la resero credibile e convincente per tutta la durata del lungo monologo (circa settanta minuti). Plausi anche all'ottimo trucco di Cinzia Costantino e alle scene e ai costumi rispettivamente di Tiziano Santi e Susanna Montecolli. A Le Moli venne riconosciuta la bontà e la funzionalità della traduzione che, oltre alla regia, volle curare personalmente: «Spesso - ha scritto in proposito - mi capita di constatare che il suono della lingua non corrisponde al fisico, al gesto dell'attore, mentre per me era importante che corrispondesse a quello che vedevo, prima nella mia mente, e poi, via via, sulla scena». Prossimo impegno per il regista, l'atteso «Il processo per la condanna di Giovanna D'Arco» interpretato da Stefania Rocca e Ivo Garrani, che sarà in scena al Teatro Carignano per la stagione dello Stabile dal 24 marzo al 9 aprile. Monica Bonetto ^^^^^^^ ^ al Carignanc? nel monologo di Kargé Elisabetta-Max Elisabetta Pozzi truccata da uomo per «Max Cericke»

Luoghi citati: Germania, Italia, Lore Brunner, Parma, Weimar