I POVERI «TALIANSKI» INGOIATI DALLE RUSSIE

I POVERI «TALIANSKI» INGOIATI DALLE RUSSIE I POVERI «TALIANSKI» INGOIATI DALLE RUSSIE Morti, dispersi, nascosti o in fuga verso la Cina QUELLO del «disperso in Russia» è un dolente personaggio che non può mancare nelle pagine dei luoghi comuni d'Italia. E, se qualcuno ritiene che appartenga ad un capitolo ormai lontano, vada a leggersi, nelle cronache di qualche giorno fa, la paradossale vicenda dell'alpino della Divisione Cuneese Guido Mascherpa. A questi, dopo essere stato dichiarato «disperso in Russia» nel corso della campagna del gennaio 1943, è toccato lo strano destino di avere i suoi poveri resti - giunti lo scorso anno in Italia dall'Unione Sovietica - «dispersi» dalla burocrazia in quel di Roma. E da quattro mesi la famiglia attende che siano riportati al suo paese natale. Del resto, attorno alla vicenda delle decine di migliaia di dispersi dell'Armir (il corpo di spedizione inviato in Russia nel corso dell'ultimo conflitto) non si sono vissute solo privatissime tragedie e fredde strumentalizzazioni. Come quelle che si registrano nel corso della durissima campagna elettorale del 1948: «Mancano 64.000 dispersi - ricorda Nuto Revelli - e si riaccende la leggenda che siano quasi tutti vivi, trattenuti dall'Urss come manodopera per nodopera per riparare i danni di guerra... Nel Veneto un ex cappellano militare ricorre a un'icona per coinvolgere e incitare i familiari dei dispersi. Passando da un paese all'altro esibisce la "Madonna del Don" che piange perché vorrebbe tornare sul Don, suo paese d'origine. La parola d'ordine "Ritorneranno" resiste nel tempo, anche se chi continua a diffonderla sa benis simo che i nostri dispersi devono essere considerati scomparsi per sempre, caduti». Sono tanti i «talianski» dispersi in Russia che non torneranno più: 9458 i piemontesi, 13.847 i lombardi, 10.879 i veneti. Gli emiliani sono 4350, i toscani 3168, i campani 2359, i calabresi 1707, i siciliani 3990. E a questi vanno aggiunti i morti in combattimento, i deceduti per ferite, freddo, fame e tifo petecchiale. Nei tragici destini dei nostri soldati ingoiati dalla steppa ci sono aspetti paradossali, realtà che ritornano come se la storia abbia voglia di giocare a surreali replay. Racconta ne La strada del Davai di Nuto Revelli un reduce della ritirata di Russia: «Un mattino vedo davanti a un'isbà un secchio di barbabietole. Mi chino per raccoglierne una manciata. Il padrone dell'isbà, un uomo anziano di oltre sessantanni, con moglie e bambini, mi dice: "Mussolini audà mac pi lon da mangé? Nui le biarave i duma ai crin" (Mussolini vi dà solo più quello da mangiare? Noi le barbabietole le diamo ai maiali). Voglio sapere chi è ma non risponde, gli punto la pistola, ma non risponde. Forse è un prigioniero dell'altra guerra». L'altra guerra è, ovviamente, quella del 1915-18, nel corso della quale sia soldati italiani, fatti prigionieri dagli austriaci e inviati in campi di prigionia della Galizia poi incorporati dal bolscevichi, sia militari trentini, incorporati nell'armata imperiale e poi catturati dai russi, finiscono con l'essere catapultati prima nell'immensa steppa e poi nell'incandescente amalgama della rivoluzione bolscevica. Questi «talianski» di Russia anche quando riescono - in seguito alle vicende interne russe - a trovare la libertà non possono tornare in patria perché, a Occidente, la guerra continua. Così, se vogliono prendere la strada di casa, questi «dispersi» devono compiere l'immenso cammino che attraversa tutta la Russia e la Siberia, sino all'Estremo Oriente. E da lì, dopo essere stati spesso arruolati nei diversi eserciti rossi e bianchi che si combattono nella guerra civile che dilania l'ex impero zarista, riescono - attraverso inenarrabili vicissitudini - ad arrivare in Cina. Quindi, attraverso i porti cinesi, trovano finalmente un imbarco che li riporta in patria dove rimettono piedi diversi anni dopo la conclusione del conflitto. Un cammino completamente a ritroso è anche quello compiuto dai trentini stanziati in Italia e che allo scoppio della guerra, risalgono la Penisola - compiendo l'itinerario opposto a quello di irredenti filo-italiani come Cesare Battisti - e s'arruolano nell'esercito austriaco. Altri trentini arruolati nell'esercito asburgico, a volte perché fatti prigionieri, in altri casi perché hanno disertato, finiscono nei campi di concentramento russi. Ufficiali dell'Intesa cercano invano di reclutarli per formare nuovi battaglioni da impiegare contro l'Austria. Sarebbe un modo per riprendere la strada di casa ma questi soldati - come ricordano alcuni studi e memorie - hanno dichiarato motu proprio la conclusione del conflitto e non accettano di portare le armi contro i loro ex commilitoni. Prendono, appena si aprono i cancelli dei campi, la strada d'Oriente, la sola che può essere percorsa visto che a Occidente le trincee della guerra in corso sbarrano ogni possibilità di ritorno. Talvolta devono rimettersi in divisa, ad esempio quando sono incorporati a forza nei corpi di spedizione alleati impiegati in Cina e in Siberia. Ma pur coinvolti in tumultuose vicende belliche ormai non parteggiano più teggiano più per nessuno e seguono solo la loro privatissima bussola che fa rotta sulle loro case. Talvolta, questi Ulisse di terra, stendono dei diari, smozzicati e semplicissimi poemi in versi della lo ro epopea. E' il caso ad esempio di Giovanni Anderle, manovale di Pergine, incorporato - dopo la prigionia in Russia e la fuga che lo por- ta sino in Cina - nel corpo di spedizione ita Ori Cì ped tliano in Estremo Oriente. Così descrive l'opera di un ufficiale reclutatore: «Sopra un foglio non avete che solo firmare / quei che tosto saran soldati / avranno viveri assai migliorati / e in più due dollari alla cinquina / di quei della Cina...». Per chi accetta di indossare di nuovo la divisa ricomincia una nuova epopea: «Un mese dopo a Tien tsin furono mandati / ci siamo uniti con altri soldati / E cian mandati nella Siberia / Porca miseria / E dopo più mesi di duri stenti / Ci han condotti a nuovi cimenti / Cioè a far la guerra, stanchi e finiti / Contro i Bolscevichi...». Oreste del Buono Giorgio Boatti Nuto Revelli LA STRADA DEL DAVAI Einaudi LA RITIRATA DI RUSSIA In «I luoghi della memoria. Strutture ed eventi dell'Italia unita» a cura di Mario Isnenghi Laterza 1997 G. Bazzani SOLDATI ITALIANI NELLA RUSSIA IN FIAMME Trento 1933 R. Francescotti TALIANSKI Prigionieri trentini in Russia nella Grande Guerra Bo/ogno 1981 1 mmWj mm Q La ritirata di Russia degli alpini