VITE da IGLOO

VITE da IGLOO VITE da IGLOO ASSU' nell'Artico, nelle gelide tenebre della notte senza fine o nei languidi riverberi del giorno che non si spegne mai, la preparazione di un matrimonio incominciava presto. Mduittura prima che uno nascesse. Bastava una promessa. E un'amicizia. Il calore della vicinanza che univa due cacciatori di foche inginocchiati sulla loro pelli di caribù, di fronte al buco scavato nella neve, in attesa che le esche fornite dalle piccole mogli attirassero almeno un salmerino d'argento ad occhieggiare dalle profondità di un mare vestito di ghiaccio. Nel nulla infinito, frustato dai venti e dal bianco senza orizzonte, la sopravvivenza andava perpetuata, anche mentalmente. Mentre poi i due bambini crescevano (era scontato che ce ne sarebbero stati di sesso opposto: al peggio li avrebbero adottati) veniva loro insegnato a cercarsi l'un l'altro con i nomi speciali del loro destino. Il maschio avrebbe chiamato la femmina nuliungasak, che vuol dire «materiale adatto a diventare una moglie», e la femmina avrebbe chiamato il maschio ungasak, «materiale adatto a di¬ l l gventare un marito». Nella solitudine della banchisa, rotta solo dai voli radenti delle candide oche dal piumino, sarebbero cresciuti nella certezza del domani. E, finiti i tempi dei giochi e delle prime cacce, il giovane avrebbe raggiunto l'igloo della fidanzata: nel livido tepore di una lucerna ad olio, i genitori gli avrebbero fatto spazio nel grande letto di neve (rialzato per mantenere il tepore dei respiri) e gli avrebbero concesso di accucciarsi accanto a lei, attenti a cogliere i buoni segni di un amore dolcemente goduto, prima di concedere che una grande, quanto casuale festa nomade, sancisse per sempre la nascita di una nuova famiglia di viaggia¬ tori, pronta ad inseguire cibo e fato. Questi sono solo alcuni dei cento bozzetti schizzati da James Houston, strano canadese metà artista e metà etnografo che, dopo aver studiato disegno a Parigi, è stato guerriero nel Toronto Scottish Regiment dal '40 al '45. Poi, affascinato dai misteri del Nord Assoluto, si è fatto abbandonare tra gli esquimesi della Baia di Hudson e per quattordici anni è vissuto cacciando trichechi, ascoltando sciamani, inseguendo orsi, correndo dietro ad una muta di cani da slitta, amando donne offerte in segno di ospitalità da mariti sorridenti, sposandosi, avendo figli e lasciandosi impre¬ gnare dall'immensità dei miti e delle leggende del Grande Freddo. I suoi appunti sono una sorta di Strade blu dell'Artico. Incontri, percorsi, scoperte, usi, costumi, amore e morte. Ricordi spesso accavallati nel tempo e nello spazio, talvolta ingenui. Ma capaci di trasmettere i fuochi dell'avventura primitiva. Come nel Sogno ai confini del mondo (Jury Rytcheu, Tranchida editore, pp. 328, L. 30.000) anche qui si respira la purezza dell'uomo semplice, che ha nel suo simile lo specclùo della propria anima, il sostegno ai propri elementari bisogni, la mano tesa che lo tiene aggrappato sul precipizio di una natura ostile ma anche profondamente felice, dove persino il mero respirare è insieme un atto di coraggio e di allegria e dove non c'è denaro, competizione, ambizione di possesso se non ciò che poi si divide sempre con gli altri. «Esquimese» è un termine algonchino che significa «mangiatori di carne cruda». E' una sorta di aggettivo dato da una popolazione all'altra. Loro, gli esquimesi, chiamano se stessi inuit, «le persone», per distinguersi dagli animali, compagni di strada rispettati in modo quasi figliale, vite soppresse solo in fun¬ zione della vita. Orsi, caribù, foche, trichechi: carne, pellicce, coperte, parka, stivali, muffole. Tendini per cucire, ossa per fiocinare, grasso per accendere fiammelle. Soltanto le corna (caduche ad ogni primavera) per intarsiare. Come le pietre che spuntano sotto la neve. Nell'avventura di Houston proprio queste pietre diventano il segno tangibile della cultura inuit. Mentre u popolo dei ghiacci gli insegna a diventare uomo (come costruirsi una casa di neve, seguire una pista di caribù, orientarsi in una tormenta, incidere un arpione, intagliare una canoa, seguire il parto di una donna), lui ricambia spingendoli a scolpire, a lasciare memoria del loro spirito libero, del cielo inteso come cupola e della terra come casa. Finirà per diventare il loro agente, cantore e testimone di un'arte vera, di un mondo arroccato al Polo, dove persino la lingua dei rari bianchi dei ghiacci è sempre la stessa: un postale che arriva una volta all'anno aprendosi la strada tra gli iceberg, un idrovolante che atterra nella bufera per ingoiare un inuk malato che non vuole partire, qualche semidistrutto avamposto di legno per segnare (come ai tempi della compagnia delle Indie in Oriente) le stazioni dei commercianti di pelli dell'Hudson o della Baia di Baffin, le capanne degli evangelizzatori (piccoli e miseri preti incapaci di trasmettere il verbo di pace a chi in pace è già, in perenne lotta tra di loro per guadagnare il primato ad una religione che non mteressa nessuno). Il diario di James Houston - nel frattempo diventato rappresentante del governo di Ottawa - finisce nell'aprile del '62, con l'arrivo delle prime motoslitte, e poi, in rapida successione, del turismo d'elite, dell'alcol (per un malinteso senso delle pari opportunità «appoggiato» addirittura dalla Chiesa anglicana), della droga, della fine del nomadismo e della nascita dei villaggi stanziali. Ma, nonostante tutto, il messaggio finale è rassicurante: è stata solo una sbornia. Durata qualche anno. Le immensità dell'Artico, il secolo scorso, hanno sopportato le carneficine delle baleniere scozzesi. Poi i ghiacci hanno ripreso il sopravvento e balene e trichechi sono tornati. Dopo gli animali, torneranno, anche «le persone». I soldi, in fondo, non sono altro che «carta con un viso sopra». Piero Sorta CONFESSIONI DI UN ABITATORE DI IGLOO James Houston Piemme pp. 367 L 30.000 r è e a // diario dì un artista etnografo che ha vissuto 14 anni tra gli esquimesi nomadi della Baia di Hudson: la famiglia? U favor fa caccia, imiti, gli sciamani e le hggejtìde del Grande Freddo VITE da IGLOO // diario dì un artista etnografo che ha vissuto 14 anni tra gli esquimesi nomadi della Baia di Hudson: la famiglia? U favor fa caccia, imiti, gli sciamani e le hggejtìde del Grande Freddo

Persone citate: James Houston, Jury Rytcheu, Orsi, Piero Sorta, Tranchida

Luoghi citati: Artico, Houston, Ottawa, Parigi