«Non cedete alla sirena Di Bella»

«Non cedete alla sirena Di Bella» «Vogliamo rassicurare gli ammalati: le nostre terapie sono il meglio che la ricerca ha ideato» «Non cedete alla sirena Di Bella» Appello dei medici dell'Istituto tumori di Milano Nella cartella, c'è anche una lettera aperta dei medici. E' quasi una preghiera: «Non abbandonate le cure che vi abbiamo proposto». Quanti l'hanno firmata? «La stanno firmando. Molti». Non c'è solo la lettera. C'è un documento che è un appello. C'è l'invito a rifiutare uno dei protocolli Di Bella. Oggi, è diventato questo il pianeta cancro. Alla fine chissà cosa ne verrà fuori. Il grande caos della sanità travolta dal ciclone Di Bella non sarà una commedia all'italiana, e non sarà neppure quel corpo informe e disordinato senza testa e senza occhi per guardarsi che raccontano i giornali. Però, dovunque passi e dovunque vai in questo viaggio a luci spente nel grande dolore del cancro, finisci sempre per trovare lo stesso mondo capovolto in cui il malato sogna la sua rivoluzione impossibile e il medico rimpiange non solo il suo prestigio perso, ma anche la missione del suo lavoro: che è quella di curare un malato. Che senso avrebbe se no, il comunicato del Comitato etico dell'Istituto Nazionale Tumori di Milano: «La sperimentazione della terapia Di Bella è il frutto di una pressione sociale ed emotiva che contrasta con i principi della Dichiarazione di Helsinki e con le linee guida di buona pratica clinica... si tratta di un precedente preoccupante so prattutto per la tutela dei pazien ti, poiché rischia di sovvertire un consolidato metodo scientifico che impone una rigorosa speri mentazione prima della sommini strazione di ogni terapia». Che senso avrebbe una lettera aperta dei medici dell'Istituto ai loro pazienti: «Con apprensione constatiamo il vostro disorientamento di fronte al bombardamento di notizie sulla vostra malattia e sulle possibili terapie...». E che senso avrebbero se no le telefonate pietose che continuano ancora oggi, di mille malati e più, per i 40 posti della sperimentazione assegnati all'Istituto, e che senso avrebbero le parole del direttore generale Gianni Locatelh: «Quella dei medici è un'obiezione di coscienza. Anzi, un'obiezione di scienza, come dicono loro». 0 quelle del professor Natale Cascinelli, l'erede di Veronesi su questo scranno: «Come vivo quello che succede? La mia prima sensazione è quella dell'offesa. Dopo aver dedicato anni a una professione, aver fatto ricerca, aver dato il meglio di me stesso, vengo trattato come un ciarlatano». Va bene. L'odissea del cancro non ha solo la faccia gonfia di Mino R., operaio da Casate Brianza, con la sua pelata da chemio sulla testa. Non ha solo la rabbia di Maria Z., che racconta il suo calvario da un medico all'altro, sballottata come un pacco, fino a quando «uno di questi dottori mi ha tenuto una concione di 10 minuti su un tumore che non avevo. Guardi, si confonde, gli ho detto. E lui s'è arrabbiato, come se l'avessi offeso». L'odissea del cancro, nelle sue contraddizioni, passa anche da questi tre palazzi nel cuore di Milano, città studi, 12 piani l'uno, tre sottoterra e nove sopra, corridoi larghi, pareti rosse blu marroni, pavimenti lucidi, mura intonse, senza scritte e senza le vergogne del tempo e dell'incuria, volontarie in camice bianco ad aiutar la gente, la folla di pazienti, di malati. Istituto Nazionale Tumori di Milano. Dodicimila ricoveri all'anno, 21 mila in day hospital, ottomila interventi A nel '97, 150 mila visite ambulatoriali, 1800 dipendenti, 500 fra medici e ricercatori, 460 posti letto che diventeranno 500 dopo la ristrutturazione. L'impressione non è così terribile come quella che si ricava in altri luoghi della malasanità d'Italia. Forse può non voler dire niente. Però, è vero che questo è l'istituto tumori più importante della Penisola. Ma è anche vero che se passa da qui l'odissea del cancro, dalle cose che possono o meno aver funzionato, dal lavoro e daU'ùnpegno della sua gente, ci passa molte volte attraverso il dolore, l'abbandono, la morte. Non c'è colpa, chiaro. Però, i medici dell'Istituto hanno scritto questa lettera aperta ai loro pazienti: «Si è perso quel rispetto che è necessario quando si tratta del dolore e delle speranze di chi è impegnato in percorsi terapeutici cLifficih ed estenuanti. Voghamo rassicurar- vi: le terapie che vi sono proposte e che vengono attuate nel nostro Istituto rappresentano il megho che la ricerca sui tumori ha saputo finora proporre in Italia e nel mondo... In piena scienza e co¬ scienza sentiamo il dovere di segnalare alcuni punti. Primo: non abbandonate senza motivi oggettivi le cure che vi abbiamo proposto». E poi il Comitato etico dell'Istituto, presidente professor Ful¬ vio Scaparro, chiede di non atti vare la sperimentazione per il carcinoma mammario operabile oltre i 70 anni al solo metodo Di Bella, e lascia scritto: «Il consenso richiesto ai pazienti da inserire nei diversi protocolli della terapia Di Bella deve essere realmente informato. Quest'opera di informazione è compito in particolare dei medici ma in generale di tutti coloro (politici, amministratori pubblici e privati, giornalisti) che hanno sinceramente a cuore la salute dei pazienti». In pratica è un'accusa a tutti: siamo un po' tutti colpevoli di quello che sta succedendo, di questo grande caos. Sembra la commedia all'italiana raccontata da «Lancet», prestigiosa rivista scientifica. Anche se Cascinelli dice di no: «No, è una commedia mondiale. Negli Usa i pazienti non abbandonano la cura tradizionale per la cartilagine di pescecane? E anche in Germania non è successo qualcosa di simile?». Cascinelli, direttore scientifico dell'Istituto, successore di Veronesi, dice che non c'è fuga dei pazienti. E dice che non c'è malasanità. E il rapporto medicomalato, questo non è un problema? «Questo è vero. Il rapporto umano diventa carente nelle strutture ospedaliere per necessità. Se io devo vedere 30 pazienti in mia mattinata, è chiaro che non ho tempo. Ma questo succede dappertutto, non solo in Italia». E la freddezza dei medici? «Quella molte volte dipende dal nostro molo. Un ricercatore ha un rapporto con la malattia più che con il malato perché quello è il suo lavoro. Ma più conosce la malattia e meglio cura il inalato». E i medici che non danno speranza? «E' vero, ci sono. E' l'atteggiamento diffuso e pessimista di un medico che è insicuro». E allora perché tanta gente vuole la cura Di Bella? «C'è discredito. C'è voglia di rivalsa nei confronti della classe medica vissuta come un clan mafioso. C'è mi senso di incertezza posto da tutta questa vicenda. C'è il rischio degli scoop giornalistici che vanno a stimolare speranze del tutto inesistenti. Io posso anche sentirmi offeso da tutto ciò, però vorrei anche far chiarezza, e non mi sento a disagio a far la sperimentazione. Vorrei farla quando sono convinto che il risultato potrebbe essere migliore». E lei non ne è convinto? Pierangelo Sapegno Un oncologo: «Ho dedicato anni alla professione, adesso mi trattano come un ciarlatano» «C'è una voglia diffusa di rivalsa nei confronti dei camici bianchi giudicati come un clan mafioso» LINFOOHIANDOLE I LINFOMI, LEUCEMIE I Terapia : ELEVATO 8900 «lilii l MAMMELLA Terapia : BUONO I Morti : 11.400 ; POLMONE i Terapia : DISCRETO morti : 31.000 l STOMACO ì Terapia : SCARSO Morti : 13.200 \ INTESTINO ; Terapia : DISCRETO Morti :19.S00 I PROSTATA ! Terapia: ELEVATO : Morti : 7000 •rlCACIA DEGLI . NELLA TERAPIA DEL CANCRO E MOKff ALL'ANNO PELLE Terapia : BUONO Morti : 1800 ' AJl U\J Ji PANCREAS Y\ ' / A f/\ V| Terapia: SCARSO _ }-W j *W A, |! \ Morti : 8200 OVAIO Terapia : BUONO Morti 2900 WM UTERO Terapia : BUONO Morti :3100 La sede dell'Istituto nazionale dei tumori a Milano, uno degli ospedali scelti per sperimentare la terapia Di Bella