Palermo, la rivincita del santo nero

Palermo, la rivincita del santo nero il caso. Spettacoli e convegni per rilanciare il patrono dimenticato: una sfida nel segno della tolleranza Palermo, la rivincita del santo nero L'etìope Benedetto non è più oscurato da Rosalia PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Era figlio di schiavi etiopi, aveva la faccia nera come la pece, non sapeva né leggere né scrivere, ma con i suoi straorclinari poteri di taumaturgo, un po' santo e un po' stregone, guariva nella Palermo del '500 poveracci e viceré: il suo nome è San Benedetto il «Moro», venerato anche in Sud America e in Messico come San Benito. E proprio nel momento in cui la crescente presenza di extracomunitari, al Nord come al Sud, acuisce le tensioni, Palermo ha deciso di riscoprire la memoria del suo santo «moro». A fine mese esordirà, ai Cantieri Zisa, Indagine su Dio. Il banchetto degli angeli: la fame, prima parte di una maratona teatrale a lui dedicata, in autunno sarà un convegno internazionale, organizzato dall'università, a ripercorrerne la storia. «E' un modo - spiega Francesco Giambrone, assessore alla cultura della giunta Orlando - per recuperare una vocazione di questa città, che è sempre stata non solo tollerante, ma anche "accogliente" nei confronti dei "diversi"». Fin dai tempi di Federico II Palermo fu un crogiuolo di etnie, culture e religioni e nel corso dei secoli ha visto ebrei, musulmani, cattolici, normanni, spagnoli, bianchi e neri vivere uno accanto all'altro. Così sembra quasi normale affiancare («mi raccomando, non sostituire» dice l'assessore) alla veneratissima «Santuzza» Rosalia, il dimenticato «moro» Benedetto. ((Abbiamo inseguito le tracce della sua vita, dei suoi "prodigi" e dei vari processi di beatificazione racconta Giovanna Fiume, docente di storia moderna all'Università anche negli archivi di Madrid e di Simancas, dove sono raccolte le carte siciliane dell'impero spagnolo». Ne è venuto fuori uno straordinario spaccato della vita in Sicilia tra '500 e '600, in cui si intrecciano medicina popolare e stregoneria, scontri fra gesuiti e francescani, religiosità popolare e Controriforma. Nato nel 1522 quando Palei.no era un porto di transito nella tratta degli schiavi, governata dai mercanti portoghesi, Benedetto fu affrancato dal padrone dei suoi genitori e segai fin da ragazzo, da un romitorio all'altro, un laico francescano di nobile origine, fra Girolamo Lanza. Approdò con lui sul Monte Pellegrino e quando, nel 1562, un decreto di Pio IV obbligò gli eremiti a entrare in qualcuno degli ordini religiosi approvati dal papato, scelse i francescani di Santa Maria di Gesù, alle pendici del Monte Grifone. Qui fece il cuoco e il guardiano, il portinaio e il lavapiatti (un santino lo ritrae con il grembiule bianco sopra il saio, davanti a una cucina), ma la fama della sua santità e dei suoi poteri straordinari si diffuse in tutta la città. «I documenti dell'epoca - dice ancora la Fiume - raccontano che guariva ogni sorta di malattia». Sciancati e sifilitici, storpi e lebbrosi facevano la fila per essere ricevuti, e lui imponendo semplicemente le mani risolveva i problemi. Guarì anche la moglie di un viceré spagnolo e questo gli conquistò la benevolenza dell'imperatore di Madrid. Quando morì, nel 1589, i frati francescani gli tagliarono capelli e unghie per farne reliquie e diffusero il suo culto nelle missioni in Messico e in Sud America. Ma per l'Italia della Controriforma il culto di un santo nero e quasi stregone (in genere i miracoli i santi li fanno da morti non da vivi) poteva essere inquietante: così, nonostante un decreto del Senato cittadino dichiarasse nel 1652 Benedetto patrono di Palermo, ad affermarsi, anche grazie allo zampino dei gesuiti, fu il culto molto più rassicurante di Santa Rosalia, bianca, vergine, e per di più di buona famiglia. H santo nero, con il suo corpo «incorrotto», riposa ancora in una teca di vetro, nella piccola chiesa del convento di Santa Maria di Gesù, un angolo di silenzio perso oggi all'estrema periferia di Palermo e lambito dai casermoni di cemento del Brancaccio. Qui si può visitare la minuscola cella, vedere il suo saio e anche il cipresso che lui stesso piantò o fece nascere dal suo bastone, come vuole la leggenda, nel luogo preferito per le meditazioni (si può anche chiedere, in convento, una Breve vita del santo, scritta dal padre francescano Ludovico Maria Mariani). Al convento è annesso un piccolo cimitero, un tempo ùltimo riposo per i nobili della città, negli anni più recenti ambito anche dai capi-mafia: Pietro Aglieri, uno degli ultimi grandi boss arrestati, di sicuro il più «mistico», era a capo proprio della famiglia di Santa Maria di Gesù. Come mettere in scena questa storia? «Abbiamo scelto - dice Beatrice Monroy, che cura i testi e la drammaturgia dello spettacolo - di non ripercorrere le vicende "vere" di Benedetto, ma di ricostruirne il mito, attraverso i racconti di sei personaggi o meglio sei "morti di fame"». Così in una sorta di Memo- riale del convento o piccolo Mahabarata saranno un fraticello, una prostituta, un pirata, una donna violentata, un barbiere e un muratore («ma in abiti di oggi») a raccontarsi, quasi in forma di oratorio, i prodigi del «fraticello». Alle parole e alle voci si affiancheranno, come in una session jazzistica, le improvvisazioni di cinque musicisti, coordinati da Maurizio Majorana. «Riscoprire Benedetto - aggiunge la Monroy - può essere l'occasione per chiedersi "chi siamo noi palermitani? Qual è la nostra identità?". E allora mi è sembrato giusto realizzare uno spettacolo in cui fossero i palermitani a raccontarsela, la storia del loro santo moro, che è anche la storia di personaggi "scassati", in una società "scassata" come la nostra». Rocco Moliterni Figlio di schiavi, analfabeta, con i suoi straordinari poteri guariva poveracci e viceré. La Controriforma fece prevalere il culto della vergine siciliana, bianca e di nobili origini Qui sopra un'immagine di Sant'Agata patrona di Catania. A lato San Benedetto il «Moro», a sinistra la «Santuzza» Rosalia protettrice di Palermo