Tra accordi e fusioni la «foresta» si muove di Massimo Giannini
Tra accordi e fusioni la «foresta» si muove NOMI E COGNOMI Tra accordi e fusioni la «foresta» si muove I può capire il sindaco di Siena, il pidiessino Pierluigi Piccini, che si sente un po' piccato con Lanfranco Turci. Il «cervello» bancario del pds dileggia i «tratti rinaschnentali)) con cui si muove Montepaschi, «sotto l'influenza del governo locale». La replica al «compagno che sbaglia», da parte del sindaco-azionista di Rocca Salimbeni, trasuda di orgoglio comunale, ha la fiera eleganza di una tela di Simone Martini, riecheggia clangori lontani, da battaglia di Campaldino: «E' vero - ammette Piccini - noi nel Rinascimento le banche le fondavamo, non le distruggevamo». Ma il problema del sistema bancario italiano, oggi, sta tutto qui. Si ragiona del borgo, si difende il campanile. I grandi colossi (o quelli che vengono considerati tali) sono finalmente usciti dal secolare torpore, non sempre rinascimentale, al quale li avevano sovente costretti le spartizioni politiche, le contiguità industriali, i provincialismi dei boiardi del credito. Banca Intesa, Imi-San Paolo, Ina-Banco Napoli-Bnl, Generah-Comit, da oggi anche Mediobanca che lancia un grande aumento di capitale: tutto si sta muovendo, nel pubblico, nel para-pubblico e nel privato. Ma è ancora poco. Ed è anche tardi. Sul piano dimensionale, i processi di integrazione in atto e quelli in cantiere sono ancora gocce, in un mare sempre più ingrossato. Se l'orizzonte non è più il borgo né il campanile ma diventa europeo, scopriamo che l'Italia del credito non esiste. Nello scacchiere europeo le pedine industriali si muovono da un anno. Si mangiano pezzi sempre più grandi, l'uno con l'altro. Co me è quasi sempre successo nella storia dopo la civiltà industriale, l'integrazione nei settori manu fatturieri precede di molto, e semmai fa da apripista a quella dei servizi. Per l'industria, l'unio ne monetaria europea è già cominciata. Le fusioni e incorpora zioni sono cresciute del 73%: 142,17 rniliardi di dollari nel '97, contro gli 82 del '96. Non per quella italiana, però, fiacca anche qui. Brilla l'industria inglese, che ha attratto operazioni per 52 miliardi di dollari, cresce di tre volte l'attività di merger & acquisition in Germania, a 19,83 miliardi di dollari, dilaga addirittura in Olanda, passata da un valore di 3,65 a 17,55 miliardi di dollari. Da qualche mese nel processo di integrazione si sono inserite I anche le pedine finanziarie. L'oI perazione di merger Bnt Financial Services-Zurigo è stata un affare da circa 17 miliardi di dollari; ■ quella tra Mercury Asset Management e Merryll Lynch vale 5,3 miliardi di dollari; l'acquisto di Banque Bruxelles Lambert da parte dell'olandese Ing è una roba da 4,6 imbardi di dollari. Di nuovo, l'Italia non c'è, in tutto questo. Le nostre banche, appunto, vedono il borgo, ma non sanno più guardare al grande mondo. Quelle commerciali, soprattutto. L'hanno fatto, in passato: la Comit, persino il Banco Napoli aveva una blasonata visibilità internazionale. Oggi è perduta. E' una benedizione che l'Ambroveneto di Bazoli sia riuscito in un capolavoro che sembrava impossibile ai più, appena un anno fa. E' una benedizione che San Paolo e Imi si siano finalmente decise ad unire gli sforzi, anche se il progetto è ancora da verificare, ed anche se preoccupa un po' il destino di quei 3 mila miliardi di free capital che Luigi Arcuti - unico tra i banchieri italiani, più o meno tutti sottocapitalizzati - ha nei suoi forzieri di viale dell'Arte. Ed è una benedizione che torni a muoversi anche la Comit, attraverso le Generali. E che si muova il Credit, sull'asse con Allianz. E che sciolga le proprie riserve strategiche il Monte Paschi, che si decida il destino di un player come l'Ina nel polo Bnl-Banco Napoli. E che la stessa Mediobanca torni a dimostrare indizi di una qualche progettualità. Magari persino esagerata, come l'ipotesi di fusione Comit-Credit-Banca Roma; ma in fondo in linea con un'antica attenzione di Enrico Cuccia alle dimensioni. Non fu del resto proprio il Grande Vecchio di Via Fuodrammatici - come rivela Piero Barucci - a proporre nel '92 al governo Amato l'idea di una maxi-fusione tra Iri ed Eni? Tutto è bene, quando è movimento. Purché si sappia che per adesso, a muoversi, sono ancora banche grandi dentro il borgo, ma piccole, troppo piccole nel grande mondo. Con buona pace del «rinascimentale» sindaco di Siena. Massimo Giannini lini |
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