Verona tra naziskin e Padania di Cesare Martinetti

Verona tra naziskin e Padania REPORTAGE DOPO LE MINACCE DI MORTI Verona tra naziskin e Padania La strana compagnia che odia il procuratore VERONA DAL NOSTRO INVIATO Ci mancavano solo le minacce di morte al signor procuratore per avvelenare ancora un po' l'aria intorno all'inchiesta su Bossi, le camicie verdi e tutta quell'altra Verona che sta fuori dalle righe e che ha trovato nel dottor Guido Papalia un giustiziere ossessivo. Il cromosoma mattocchio ed eversivo che corre sotto l'epidermide di questa città perbenista, conservatrice, di leccata eleganza, ha facce diverse e talvolta convergenti. Come capita adesso. Nasce un comitato per la «giustizia giusta» e si potrebbe più chiaramente definire comitato antiPapalia. La compagnia è multiforme: camicie verdi, cattolici ultra-tradizionalisti e secessionisti per nostalgie di ancient regime. Cobas del latte. Skinheads, fascisti amici di Freda, ultras del Verona. Ex democristiani arrestati per tangenti e poi assolti. E c'è dentro (idealmente, perchè personalmente non s'è fatto vivo) anche un parroco, don Piero di Monteforte d'Alpone, interrogato e indagato per favoreggiamento nei confronti dello scalatore che sul suo campanile aveva issato la bandiera di San Marco e prima ancora insultato un maresciallo dei carabinieri («terrone!) poi morto d'infarto. Che aria tira nella Verona auscultata da Papalia con centinaia di intercettazioni e spazzata da un'infinità di indagini? «Si formano - ci dicono - cellule di cripto-resistenza». L'aria venetista qui soffia persin più forte di quella del procuratore e del suo ufficio a caccia di camicie verdi e di fantasmi. Si incrina la Cisl sul caso di Palmarino Zoecatelli, sospeso e minacciato con un ukaze dei «probiviri» dai toni inquietanti (non è in «sintonia e comunanza di ideali» perché «tradizionalista» e secessionista) che se esteso ai tesserati sarebbe l'ecatombe, visto che da queste parti si sa bene come la pensano. Si celebrano in una mostra i duecento anni delle Pasque Ve ronesi restituite alla vera indole di quei patrioti che combatterono contro Napoleone non per anticipare il Risorgimento (secondo quanto ancora recitano i testi scolastici inquinati dalla «retorica unitaria») ma casomai per allontanarlo, nello spazio e nel tempo. Vecchie stampe rie- merse dalla polvere ci dicono cosa davvero si pensasse dei giacobini «tricolorati» (biancorosso-verde e bianco-rossoblù): all'inferno, dove nemmeno i demoni, però, li volevano. «Insorgenze», le chiama un cattolico tradizionalista di questa strana costellazione veronese, Maurizio Ruggiero, di «Sa- crum Imperium», per spiegare che non fu affatto pacifica la conquista italiana da parte della dea ragione, quella signora che nelle immagini di allora compare spesso a seno nudo. Fuochi di cui è costellata un'inedita carta dell'Italia reazionaria, anti-unitaria, conservatrice. Paradigma ideale e de- siderato dell'oggi. Le «insorgenze» sono ora i fuochi secessionisti, le nostalgie del Leone di San Marco, quella simpatia diffusa per i «serenissimi» che scalarono il campanile di Venezia. Un sentimento che si coagula sotto la pelle di Verona. E che si manifesta in giro per le campagne con i graffiti sui muri - gli ulti- mi a Bovolone -: «Abbasso Papalia». O con la messa tradizionalista celebrata in strada, a Porta Nuova, quasi sotto la casa del procuratore. Chiediamo a Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, capitato qui a Verona per seminare il verbo «federalista radicale» del suo movimento del Nordest, che cosa ne pensi del fenomeno Papalia. E lui scivola via: «Fenomeno? Papalia fa il suo mestiere. Il fatto è che il problema non si risolve per via giudiziaria, ma politica». E già. E il sindaco-filosofo dice ai non molti fedeli venuti ad ascoltarlo discutere di Catalunya e autonomia con un professore di Barcellona: «Dobbiamo rassegnarci a rimanere schiacciati tra i restauratori del potere centralista e i "padani"?» La terza via sarebbe quella della ragione (uguale federalismo), che da queste parti, però, a cominciare dai tradizionalisti, non è un culto molto praticato. Un filo nero molto populista lega le «insorgenze» messe sotto accusa da Papalia: la battaglia contro gli immigrati o più semplicemente gli stranieri. Per difendere l'ordine e la vera fede, secondo i cattolici; per affermare la «razza bianca ed europea», secondo gli altri. Ma i) fatto è che tutto ciò si è manifestato soltanto con chiacchiere e volantini. Freda e i suoi 49 del Fronte non sono andati oltre alle ridicolaggini pagane della celebrazione del solstizio d'inverno all'hotel Holliday di Bardolino, dopo la cena del club. Condannati per ricostituzione del partito fascista, secondo caso nei 45 anni di vita della legge Sceiba, dopo l'Ordine nuovo di Delle Chiaie che però, accanto alle chiacchiere, aveva le anni. Le cinquantatré «teste rasate» (e non molto piene) che andranno a processo tra un mese, per istigazione all'odio razziale, sono anch'esse accusate dalle volgarità scritte sui volantini. Unico episodio di violenza, una rissa. Ma con gli skin di sinistra. L'avvocato Roberto Bussinello, che difende gli uni e gli altri, dice che non si va oltre i «reati di opinione» e come tali discutibili, ancorché sgradevoli. Papalia, insomma, secondo i critici, fa fuoco su tutto ciò che esce dal recinto del buonismo della cultura di governo. Una sentinella del «politicamente corretto»? Il sostituto del procuratore, Antonino Condorelli, in un certo senso conferma: «Ciò che conta non è l'evento, ma il pericolo». Nel caso di Freda e in quello delle camicie verdi, il nemico, o il reato, è l'estremismo: «Papalia - ci dice Condorelli - la pensa come l'italiano medio». Ma il veneto medio? Cesare Martinetti Contro Papalia anche cattolici tradizionalisti ultras del Verona, fascisti amici di Freda Cobas del latte, ex de arrestati per tangenti Cacciari scettico: il fenomeno si vince con la politica non con i processi