I MUGUGNI DELLA DOMESTICA di Barbara Spinelli

I MUGUGNI DELLA DOMESTICA ►ALLA I MUGUGNI DELLA DOMESTICA che non ha l'Iraq al centro del proprio dispositivo mentale e strategico, ma l'America e la competizione con l'America. Non sarebbe così, se il governo Prodi avesse messo in chiaro nei giorni scorsi l'assoluta pericolosità delle armi di cui si è dotato Saddam. Se avesse fatto capire che il negoziato è certo preferibile, ma che non si negozia incondizionatamente e a tempo indeterminato con chi si ostina a minacciare la comunità internazionale, a rifiutare gli smantellamenti militari imposti dalle risoluzioni Onu, a ignorare ogni pressione. Non sarebbe così se Prodi avesse detto in maniera non equivocabile, prima di qualsiasi intesa con la Russia di Eltsin: siamo per le vie pacifiche, ma se Saddam mostrerà di non volere cedere occorrerà combinare il negoziato con la minaccia della forza, e tentare la via americana della dissuasione politicomilitare prima, dell'eventuale offensiva aerea dopo. Questa strada è stata scelta da Kohl, e non è stata una mossa facile. L'opinione tedesca è abituata dalla guerra fredda a un'alleanza passiva con la Nato e l'America, ed è ostile a una partecipazione a guerre del Golfo. In genere i tedeschi sono ostbi a molte cose in questo momento all'Euro come a un coinvolgimento in Iraq - e tendono a fuggire le nuove responsabilità di grande potenza europea che incombono sulla Germania da quando è caduto il muro di Berlino. Il Cancelbere ha dunque sfidato l'opinione, ancora una volta. Ha ritenuto che siano in gioco valori essenziali dell'Occidente, che l'Europa deve imparare a difendere con mezzi pacifici ma se necessario militari. Ha pensato che tali valori sono più importanti di un'elezione, e delle proprie fortune personali. Ha serbato il ricordo di quel che è accaduto in ex Jugoslavia, quando è apparso chiaro che le vie negoziali preferite dall'Europa erano un fallimento, che l'Onu era un organo incapace di fermare l'aggressore, che occorreva ancora una volta l'intervento americano per metter fine a un genocidio nel vecchio continente. Tutte queste cose ha pensato Kohl, e ha meditato anche suba storia deba propria nazione. Lo ha detto esplicitamente ai propri interlocutori americani e russi, nella conferenza a Monaco: «A causa deba nostra storia, noi tedeschi abbiamo inoltre una speciale responsabilità verso Israele, e questo Paese è minacciato oggi dalle armi dell'Iraq». Con i russi che negavano l'esistenza delle armi batteriologiche e chimiche Kohl è stato sprezzante, e anche su questo punto ha mostrato di condividere l'allarme e la vigilanza americana. Non è l'unico rischio che Kohl ha voluto correre, promettendo di sostenere eventuali offensive in caso di fallimento dei negoziati. Anche nei suoi rapporti con gli europei il Cancelliere ha deciso di correre pericoli: il pericolo di una rottura con la Francia in primo luogo, Paese centrale con cui Bonn sta edificando la Moneta Unica. Il pericolo di approfondire una spaccatura già apparsa in passato, all'inizio delle guerre balcaniche e durante il genocidio dei serbi contro i musulmani di Bosnia. La volontà di impotenza manifestata a quel tempo dall'Europa potrebbe ripetersi, e Bonn compie la sua scelta: meglio l'Alleanza atlantica, piuttosto che un'Europa politica inesistente, di cui francesi e italiani parlano senza volerne pagare i prezzi. Meglio l'America, che una Francia senza più grandi visioni, interessata solo ai suoi rapporti commerciali con Iraq e arabi. In questo Kohl si è mostrato statista occidentale di rilievo: il solo capace di un pensiero politico consisten te in Europa. Il solo capace di senso di guida, di attitudine a entrare nel Consiglio di Sicurezza deb'Onu. Questa posizio ne gli ha permesso di essere esi gente, con i governanti americani: Clinton è stato severamente criticato, per la scarsa consultazione con gli europei e per la disattenzione mostrata verso la grande potenza ferita che è oggi la Russia. Nulla di tutto questo in Italia invece, né nella Francia dive nuta retrattbe, impolitica. Nulla di tutto questo nelle reazioni di un governo di centro sinistra che pretende di far imponenti battagbe per conquistare un seggio d'onore al Consiglio di sicurezza, a fianco della Germania, e che non ha una sola idea forte sui valori dell'Occidente, e sui principi che occorre difendere incondizionatamente: primo tra i quali l'obbbgo di rispettare le risoluzioni Onu, che Saddam sta trattando aba stregua di pezzi di carta. Questa era un'importante prova per la sinistra italiana, provvisoriamente mancata. Ha vinto un confuso e sentimentale antiamericanismo, come nella guerra del Golfo. Ha vinto il pacifismo succube debe tradizioni cattoliche, comuniste, e per la seconda volta è la bnea del Vaticano che prevale: non la bnea osservata dal Papa in Jugoslavia ma nel Golfo, secondo cui «le guerre sono sempre avventure senza ritorno» e vanno quindi evitate per principio. Il che in parte è certamente vero: le guerre sono sempre avventure incerte, dubbiose, fallibili. Ma ancor più fallibili possono essere le rinunzie a usare la forza, a combinare negoziato e esercito, nei rapporti con dittatori che non esitano a usare le armi batteriologiche contro i propri villaggi, come ha già fatto Saddam. Anche questa seconda scelta può rivelarsi devastante, e forse più devastante ancora se si ha a cuore la credibilità dell'Occidente, e di organizzazioni internazionab come l'Onu. Dicono gli americani che l'Italia agisce così perché è stata offesa dal disastro della funivia; ed è contraria a una guerra in Iraq per motivi psicologici profondi, che oggi la portano a diffidare di ogni iniziativa statunitense, e a prospettare anche un rinegoziato sulle basi Nato, come invocato da Rifondazione e da parte del pds. Sarebbe grave se fossero queste, le motivazioni. Vorrebbe dire che le sinistre non riescono a distinguere tra gli errori americani e gli orrori iracheni, tra Cbnton e Saddam. Vorrebbe dire che l'Itaba ha un comportamento da domestica, che mugugna col padrone senza costrutto, e rimanendo domestica. Non sembra questa la via europea più profittevole, per esercitare efficaci pressioni sull'America. Per convincerla a dotarsi di una strategia pobtica meditata, per quello che succederà dopo un'eventuale guerra con Saddam. Per persuaderla ad appoggiare oppositori seri al dittatore, e non oppositori integralisti islamici che potrebbero rivelarsi più pericolosi di Saddam. Non è questa la via più profittevole per dar prestigio ai nostri governi, per contare pobticamente in Europa, e per rendere credibile oltre che utile la nostra candidatura al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Barbara Spinelli

Persone citate: Clinton, Eltsin, Kohl, Prodi