Mercante d'armi italiano uccide due doganieri

Mercante d'armi italiano uccide due doganieri CRIMINALITÀ' Altri due agenti tedeschi assassinati da un kazako in uno scontro al posto di blocco con la Polonia Mercante d'armi italiano uccide due doganieri Una sparatoria al confine tra la Germania e la Svizzera BONN NOSTRO SERVIZIO La pagina più insanguinata della storia delle guardie di frontiera tedesche nel dopoguerra è stata scritta ieri e a «firmarla» è stato anche un misterioso trafficante d'armi italiano di cui in serata si sapeva solo che risiedeva in Svizzera e che aveva circa trent'anni. In due diversi episodi, uno accaduto a Costanza, al confine meridionale con la Svizzera, e l'altro nei pressi di Gorlitz, alla frontiera con la Polonia, sono rimasti uccisi tre doganieri tedeschi e uno svizzero. Suicida, è morto dopo varie ore di agonia anche il trafficante con passaporto italiano. L'uomo, secondo la ricostruzione della polizia tedesca, avara di particolari sulla sua identità, aveva scelto di entrare in Germania dalla Svizzera utilizzando un passaggio di frontiera poco trafficato, quello che ha il nome italianizzante di «Klein-Venedig» (Piccola Venezia) e che si trova in un sobborgo della tranquilla città tedesca da cui il lago di Costanza trae il nome. Verso le 10,30 ferma la sua Mitsubishi rossa con targa svizzera davanti al gabbiotto dai vetri antiproiettile, si lascia controllare il portabagagli, ma quando i doganieri notano pacchetti di munizioni si sente perduto. Spara, forse con una pi¬ stola, contro il vetro che non s'infrange del tutto. Il doganiere riesce a telefonare per chiedere rinforzi. L'italiano allora prende un mitra dotato di silenziatore e spara una trentina di colpi, prima contro le guardie tedesche, poi contro le svizzere. Rimangono a terra, morti, un doganiere tedesco di 40 anni e uno svizzero di 45. Ormai evidentemente in preda al panico, il trafficante risale in macchina per fuggire in direzione Germania. Percorsi 150 metri si vede bloccato da un passaggio a livello e forse anche da un automezzo dei doganieri: secondo la versione ufficiale della polizia, l'uomo infine si spara un colpo alla testa con la sua pistola e rimane mortalmente ferito. Sull'auto viene rinvenuto un piccolo arsenale: bombe a mano, pistole di grosso calibro, un mitra, munizioni. Buio totale sui suoi moventi: mafia, terrorismo, davanti al riserbo degli inquirenti tutto appare possibile mentre c'è chi ricorda che alla frontiera svizzera del Canton Ticino già nel febbraio 1991 un criminale italiano, Riccardo Romano, uccise un doganiere, mentre nell'ottobre 1997 la «banda dei bergamaschi» di Luigi Facchinetti ne aveva freddati due alla frontiera franco-svizzera. Diverso il duplice omicidio avvenuto al confine polacco, al punto di controllo di Ludwi- gsdorf: alle 3,30 due doganieri di 30 e di 34 armi, salgono su un pullman proveniente dalle viscere della disciolta Urss, da Almaty (l'ex Alma Ata, la capitale del Kazakistan); 22 le persone a bordo, tra cui uno squilibrato di 38 anni che già aveva dato in escandescenze nel viaggio di 4000 chilometri. Non regge la tensione dei controlli, resi più accurati dalla responsabilità avvertita dai tedeschi di dover proteggere «i confini esterni di Schengen»: sfila la fondina di uno dei due doganieri la pistola d'ordinanza e spara sette o otto colpi. Una guardia muore sul colpo, l'altra mezz'ora dopo, due viaggiatori sono gravemente feriti. Lo squilibrato si è ferito fuggendo attraverso un finestrino ma poi è stato arrestato. Oltre che per le famiglie delle guardie, sono stati colpi duri per la Germania, sempre più consapevole che la caduta del Muro di Berlino la rende mèta non solo di immigrati e profughi ma anche di criminali e folli. «L'mclinazione alla violenza ai confini tedeschi è senza limiti», ha commentato la Lega dei doganieri tedeschi ricordando che i loro 30 mila associati sono esposti, soprattutto alla frontiera polacca e cèca, «a pericolosi criminali» impegnati nel traffico di droga, armi e sigarette in quantità sempre crescenti. Rodolfo Caio

Persone citate: Klein, Luigi Facchinetti, Riccardo Romano, Rodolfo Caio