La caccia nel labirinto della Calvana di Giovanni Bianconi

La caccia nel labirinto della Calvana REPORTAGE La caccia nel labirinto della Calvana «Potrebbero essere ancora in questi monti» SULLE ORME DELL'ANONIMA FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO «Io vi ho sentito, ho sentito i vostri elicotteri vicino al posto in cui mi tenevano», ha detto Giuseppe Soffiantini agli investigatori, l'altra notte, poco dopo la sua liberazione. Ma dove lo tenevano? Chissà. «Mi hanno spostato tre o quattro volte, con percorsi non tanto lunghi. Secondo me sono sempre rimasto in Toscana», ha aggiunto con lucidità l'imprenditore bresciano appena tornato alla vita. Brandelli di indizi e poco più. «Io gli elicotteri li ho sentiti anche stamattina, evidentemente stanno cercando qualcosa pure qui», dice ora don Ezio Palombo, priore di Fabio, un pugno di case addormentate sul fianco della montagna, con l'aria serafica di chi ha vissuto 38 anni (oltre metà della sua esistenza) tra case coloniche e mulattiere. «Mi hanno sempre tenuto qui, in una sorta di penitenza ecclesiastica, forse perché ero amico di don Milani», spiega il priore prima di aprire il libro dei ricordi su Giovanni Farina e su altri sardi col vizio dei sequestri di persona passati dalla sua parrocchiapensione-refettorio-biblioteca, aperta a chiunque a qualunque ora. Gli elicotteri volteggiano sui monti della Calvana - promontori spelacchiati nei dintorni di Prato, terra di pecore e pastori oggi come qualche settimana fa. Forse è stata qui l'ultima prigione di Soffiantini. Ma la caccia a Giovanni Farina e Attilio Cubeddu, i due latitanti che l'hanno tenuto in ostaggio per otto mesi, si fa soprattutto con altri mezzi e altre tecniche, che gli investigatori non hanno alcuna intenzione di rivelare. Già troppe volte, in questa vicenda, sono stati spiazzati dalle fughe di notizie. Si batte il territorio «naturale» dei due banditi, si cerca di stare addosso a proba- bili fiancheggiatori, si interrogano persone che potrebbero rivelare qualcosa. Cercando di non far trapelare nulla sulle possibili tracce per arrivare alla coppia. Ma saranno ancora uniti, oppure ognuno è già andato per la sua strada? Di certo, uno dei punti nevralgici della caccia all'uomo è qui, sui monti della Calvana. Anche se all'apparenza non si direbbe: niente posti di blocco, e rarissime sono le auto di poliziotti e carabinieri. Tutt'altra storia rispetto ai giorni convulsi di fine ottobre, quando si cercava l'ostaggio nella zona di Montalcino. Stavolta si tenta di lavorare sottotraccia, ma basta suonare al citofono di qualche nome sardo con passati giudiziari appena un po' agitati per capire che gli «sbirri» sono passati anche di recente. Non fosse altro perché qui una settimana fa, in una stradina buia poco dopo Vaiano, alle porte di Prato, due uomini dall'accento sardo hanno incassato i cinque miliardi del riscatto. Su queste montagne Giovanni Farina è cresciuto, da quando piccolissimo è sbarcato dalla Sardegna con tutta la famiglia. Da queste parti vivono ancora due sue sorelle, e fra la boscaglia che fino a poco tempo fa si attraversava solo coi muli il bandito avrebbe sotterrato, nel 1980, la sua fetta di un altro riscatto, quello pagato per la vita di Dario Ciaschi. Un rapimento per quale Farina fu condannato a sette anni di galera. Era uno dei favoreggiatori. Poi l'ex-pastore che in carcere s'è scoperto perfino poeta ha deciso di mettersi in proprio; nel settembre '96 approfitta dei benefici di legge per diventare uccel di bosco, e poco dopo mette in piedi il sequestro Soffiantini. Qualcuno dice che potrebbe essere già all'estero, forte di quel mucchio di dollari spendibili ovunque. Qualcun altro pensa che si nasconda ancora sui monti della Calvana. Possibile, priore? «Così dicono tutti. Pare che se uno da queste parti non si voglia far trovare gli riesca facile», risponde don Palombo. Però i familiari di Farina hanno preso pubblicamente le distanze, la madre - che s'è trasferita a Pari, vicino a Montalcino - ha detto che lo considera un uomo morto. Il priore, basco blu e occhi cerulei, storce la bocca: «Mali... Io a queste prese di distanza ci credo poco. Da come li ho conosciuti, e ne ho visti tanti da queste parti, mi pare che i sardi siano gente molto solidale tra loro, e che certe regole di convivenza non proprio civili le abbiano nel sangue. Per loro è normale la vendetta, rapire il bestiame e, alla fine, anche gli uomini. Solo i ventenni di oggi non hanno più questa cultura. Ma Giovanni, Giovanni Farina, appartiene alla generazione precedente». Al terzo piano della questura di Firenze, negli uffici della Criminalpol toscana, si cercano di ricostruire le ultime mosse della nuova «primula rossa» dell'Anonima sarda. Don Palombo, invece, ne ricorda le prime, di oltre 30 anni fa, «quando Giovanni era un ragazzino sveglio e intelligente. Aveva un sorriso radioso - dice il priore -, che a volte assomigliava alla smorfia di un malato». Don Palombo lo conobbe insieme a tutta la sua famiglia («il padre era un tranquillo patriarca, in casa comandava sua madre, la Bonaria»), quando andò a far visita nel casale di un'altra famiglia sarda trapiantata alla Calvana, i Mura. Poi i Farina scesero a valle, borgo Santa Lucia, oggi quartiere periferico di Prato. Ma di tanto in tanto Giovanni si faceva rivedere alla canonica. «Veniva su col mulo - continua don Palombo - e si fermava a fare quattro chiacchiere. Io dai sardi sono sempre stato benvoluto, perché quando ci fu- rono problemi coi primi sequestri ho cercato di spiegare alla gente di qui che non bisognava criminalizzare un'intera categoria di persone. Evidentemente Giovanni era rimasto affezionato. Poi è sparito, e poco dopo ho letto sui giornali delle sue vicissitudini». Altri latitanti, invece, si sono rifatti vivi con questo «don Milani della Calvana» che non chiude la porta in faccia a nessuno. Come quel Mario Sale che nel 1975 era ricercato per il sequestro e l'omicidio di Piero Baldassini, ritrovato cadavere nonostante il pagamento del riscatto: «Diceva d'essere innocente». La memoria del priore galoppa verso altre storie. «Una volta m'è capitato di ospitare un latitante, ma io non lo sapevo. Mi rubò la carta d'identità e lo ritrovarono all'estero. Vennero a perquisirmi la canonica, su ordine scritto di Vigna». Un amico di don Palombo arriva con notizie fresche dalla città: pare che la polizia stia interrogando da ore un sardo che abita in zona. L'amico sussurra un nome all'orecchio del priore che senza scomporsi apre un'altra pagina dei suoi ricordi in terra di sardi e di sequestri: «Lo conosco. Venne a sposarsi qui la sera che rapirono Baldassini, e in seguito la polizia volle controllare i registri per scoprire se era vero». Quel matrimonio era un alibi, priore? «Chissà». Più di 20 anni dopo, quel nome è entrato anche nell'indagine sul sequestro Soffiantini. Giovanni Bianconi In questa zona della Toscana Giovanni Farina è cresciuto L'amico sacerdote: «Da queste parti nascondersi è un gioco» Idue capi della banda potrebbero però essersi divisi Gli investigatori stanno addosso ai probabili fiancheggiatori

Luoghi citati: Firenze, Mali, Montalcino, Prato, Sardegna, Toscana