Come prova un giornale e una firma
Come prova un giornale e una firma Come prova un giornale e una firma Nell'ultimo contatto registrate le voci dei banditi M ORDINE di pagare il ri" scatto era arrivato sabato 31 gennaio dal gip di Brescia; un «pagamento controllato», come impone la legge, scelta alla quale i magistrati lombardi si sono decisi dopo essersi imposti, in passato, nel battere altre strade; il fallito blitz della notte d'ottobre a Riofreddo, per esempio, sconsigliato dagli investigatori. Stavolta il percorso indicato nell'ultimo messaggio dai sequestratori - da Bologna a Volterra e ritorno, con un tavolo legato sul tetto dell'auto come segno di riconoscimento - s'è concluso senza intoppi. Adesso, dicevamo, comincia la caccia all'uomo. Gh investigatori hanno già fatto il confronto delle voci registrate dai microfono piazzati sulla Panda, e uno dei due «riscossoli» del riscatto sarebbe proprio Giovanni Farina, il regista del sequestro e carceriere di Soffiantini insieme al suo amico Attilio Cubeddu. Ma nelle mani della polizia sono tanti gli elementi raccolti durante un'indagine filata via liscia fino all'agguato di Riofreddo e all'inutile ricerca del covo nei giorni di fine ottobre. Giorni di tensioni, di polemiche e di qualche mistero che forse adesso si potrà sciogliere. Nel frattempo si può finalmente dipanare la matassa di una rincorsa sui rapitori cominciata quattro giorni dopo il rapimento, il 21 giugno 1997, dalla carcassa di un'auto bruciata. Era una Fiat Croma targata PG 741074, ritrovata dalle parti di Sinalunga, rubata il 10 giugno. Un confidente della questura perugina parlò subito di quel furto. «L'ha fatto un certo Marcello - disse la "fonte" -, che in quel periodo si incontrava con dei sardi, in particolare tali Agostino Mastio e Mario Moro, e poi due di Cesena, Osvaldo Broccoli e Giorgio Sergio». Su Moro - originario della provincia di Nuoro trapiantato in Romagna, pregiudicato e coinvolto in altri sequestri di persona - gh archivi avevano parecchio materiale. E altro più «fresco», sul rapimento dell'imprenditore bresciano, cominciarono a fornirlo in quegli stessi giorni i suoi sequestratori, con le loro lettere, scritte e recapitate da Moro. La lettera arriva al parroco di Manerbio il 7 luglio: c'è la richiesta di un riscatto di 20 miliardi. La seconda viene recapitata in un ristorante di Leno (Brescia) il 23 luglio: i rapitori chiedono che siano pubblicati alcuni annunci su «Il Giorno». Il terzo «arrivo», 10 settembre, è un'audiocassetta registrata, più tre foto di Soffiantini, recapitati ad una ditta di Roma. Anche la quarta lettera, spedita a Verona il 14 settembre, contiene una foto dell'ostaggio: Soffiantini tiene in mano una copia de «Il Giornale» di quel giorno; nella missiva ci sono le indicazioni di un percorso per il pagamento del riscatto, che non avverrà. Una quinta lettera viene recapitata il 30 settembre, con nuovi ordini per la consegna del denaro da parte dei familiari, e la sesta arriva il 14 ottobre. E' quel¬ la dove si parla di Riofreddo e del pagamento da farsi la sera di venerdì 17 al confine tra Lazio e Abruzzo; da lì prende le mosse il blitz dei Nocs ordinato dalla Procura di Brescia che porterà alla morte dell'ispettore Samuele Donatoni e tre giorni dopo - alla cattura di Moro, Mastio, Broccoli e Sergio, il «quartetto» frequentato da quel Marcello che rubò l'auto a Perugia. Ma prima ancora degli arresti la polizia aveva individuato il gruppo dei sequestratori, arrivando ad avere forti sospetti sui latitanti che tenevano in custodia l'ostaggio nonché sulla zona della «prigione», la bassa Toscana. Il 3 ottobre la casa romagnola di Mario Moro era stata perquisita, ed erano saltati fuori un binocolo notturno e una scheda telefonica prepagata intestata a un certo Giampaolo Guerra. Quest'ultimo è un nome essenziale aU'mdagine, perché appartiene al prestanome al quale sono intestate quasi tutte le schede per telefonini utilizzate dalla banda. Un'altra vie-
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