LE «DEMOCRATURE» DI MATVEJEVIC di Sergio Trombetta

LE «DEMOCRATURE» DI MATVEJEVIC LE «DEMOCRATURE» DI MATVEJEVIC Quegli ibridi alVEst tra democrazia e dittatura EDITERRANEO: mare di migrazioni, di esili, di nostalgie. Lo sa bene Predrag Matvejevic, lo scrittore jugoslavo, croato da parte di madre, russo da parte di padre, cresciuto a Mostar, a 40 chilometri dall'Adriatico, ma con negli occhi le immagini della Odessa paterna e del Mar Nero. «Non c'è nulla che presenti di sé una immagine così perfettamente doppia come le isole del Mediterraneo - dice Matvejevic che a questo mare ha dedicato il suo primo libro tradotto in italiano -. L'isola è luogo di asilo, di ideale beatitudine, di un utopico ordine assoluto. Ma è anche luogo di esilio. Penso a Seneca, relegato in Corsica per molti anni. Penso al campo di concentramento titino su Goli Otok. Questa doppia faccia è così evidente nelle mille isole della costa dalmata». Le isole, il Mediterraneo come eterna aspirazione verso il Sud, verso il sole. «Nietzsche parlava di Fede nel Sud dei popoli dell'Europa Centrale. E questa aspirazione si è trasformata in realtà soltanto per i popoli jugoslavi del Sud», i è i li i Asilo ed Esilio. Una doppiezza di sentimenti che colpisce in pieno Matvejevic, meticcio assoluto, che a questo tema ha dedicato il suo ultimo libro, Tra asilo ed esilio, edito da Meltemi e che l'autore definisce «romanzo epistolare». Romanzo delle sue radici russe. Che mescola storia privata e tragedia collettiva. Che rievoca vicende e incontri familiari. Che fotografa impietosamente la Russia intellettuale dell'impegno e della dissidenza dagli Anni 70 in poi: «Sono lettere private, ma anche lettere pubbliche spedite con follia e coraggio dalla Jugoslava di allora a uomini politici russi in difesa di dissidenti. C'è dell'invenzione, anche, ma quasi esclusivamente nella disposizione, nella risistemazione dei brani». «Mio padre - racconta Matve¬ jevic - è emigrato negli Anni Venti dalla Russia. Fu un antifascista e finì nel Lager nazista. Suo fratello, quasi contemporaneamente, trascorse invece molti anni nel Gulag sovietico. Così queste due esperienze totalitarie del nostro secolo si sono congiunte in qualche modo nel destino della mia famiglia paterna e hanno determinato le mie prese di posizione. Questo fatto personale, privato, è stato il punto di partenza. Di lì è scaturita l'idea di difendere i valori del socialismo dal volto umano. Insisto su questo termine che adesso non si usa più, che era usato da noi dissidenti liberali e in qualche modo di sinistra. Era quella la nostra lotta contro il cosiddetto socialismo reale che non era né reale né socialismo e che era senza volto: lo stalinismo». Un lavoro rischioso difendere la dissidenza nella Jugoslavia degli Anni 70 e 80? «E' vero che la Jugoslavia era il Paese più aperto, ma i rischi c'erano comunque. In quegli anni ho scritto lettere in difesa di Brodskij, Sinjavskij, Sacharov, Bucharin, ma anche Trotskij». Nel libro la tragedia russa del ventesimo secolo è vista con un occhio che è contemporaneamente russo e straniero, con l'«ostranenje», lo straniamento, teorizzato da Victor Sklovskij al quale è dedicato un capitolo. Una comprensione totale, ma allo stesso tempo una visione distaccata. «Si vede bene nel resoconto del viaggio in Asia centrale con Sanguinetti. Il mio sguardo è diverso perché io sono dentro la lingua, parlo il russo meglio dell'italiano, sono molto vicino a quella realtà. Ma sono anche distante dei russi che sono accanto a me. Perché nel frattempo noi, figli dell'emigrazione russa, abbiamo avuto un'altra cultura. «Ho scritto questo libro - prosegue Matvejevic - anche perché bisogna ancora lottare. Mi sono reso conto che all'Est si sono fatte non democrazie ma democrature, un ibrido di democrazia e di dittatura: sono i regimi ex jugoslavi, la Bulgaria, la Romania, la Russia, l'Ucraina, la Bielorussia. Resta fuori, forse, la Repub¬ blica Ceca. Vivere in Croazia con quell' "eloquente silenzio" che fu della Achmatova, di Pasternak in Russia, oggi non serve più». Per questo ha scelto di vivere a Parigi e Roma, in una via che è a metà strada fra asilo ed esilio? «Ho insegnato alla Sorbona per quattro anni. Ora da tre sono in Italia. Ci sono venuto per scelta, non per necessità. Gli amici mi dicevano "è un Paese disordinato". E io rispondevo: "Anche io sono disordinato, forse ci sposiamo". Credo di avervi un po' sposato». «Vivendo questi sette anni in Occidente e insegnando, già prima, di tanto in tanto negli Stati Uniti dove Brodskij e Susan Sontag chiamavano, mi sono reso conto - conclude Matvejevic che anche l'intellettuale radicale dei Paesi occidentali vive una via di mezzo fra asilo ed esilio. La patria offre allo scrittore un asilo in cui vive più o meno bene, ma questo stesso intellettuale si trova esiliato nei confronti dei progetti che si scelgono nella società, delle istanze in cui si prendono decisioni essenziali. E forse alla fine del secolo ci ritroviamo in qualche modo insieme così fra asilo ed esilio: scrittori dell'Est e dell'Ovest, scrittori europei». Sergio Trombetta «Tra asilo ed esìlio», un romanzo epistolare dello scrittore slavo che rievoca le radici russe (padre nel Lager, fratello nel Gulag) TRA ASILO ED ESILIO Predrag Matvejevic Meltemi pp. 249 L 33.000 Sotto: Andrej Sacharov