Australia, voglia di repubblica di Fabio Galvano
Australia, voglia di repubblica Nei sondaggi 2 abitanti su 3 vogliono abbandonare la corona britannica Australia, voglia di repubblica Costituente al lavoro, poi il referendum LA TRADIZIONE IN DECLINO LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE L'Australia decide il proprio futuro repubblicano; e se i sondaggi l'azzeccano, indicando che due abitanti su tre vogliono tagliare il cordone ombelicale che ancora li lega a Londra e alla regina, il passato coloniale e la corona saranno relegati ai libri di storia. Ieri i 152 delegati della «constitutional convention», una sorta di Costituente incaricata di ipotizzare la formula del nuovo ordinamento, si sono riuniti per la prima volta nel vecchio edificio di stile coloniale del Parlamento, a Canberra. Due settimane durerà la loro fatica; e secondo il primo ministro John Howard - monarchico convinto, ma altrettanto convinto che la tesi repubblicana prevarrà il referendum potrebbe svolgersi già l'anno prossimo e «l'Australia potrebbe diventare una repubblica nel centenario della sua nascita come nazione». Il 1" gennaio 2001, con l'alba del nuovo millennio. La battaglia dei monarchici appare timida e di retroguardia. Persino l'idolo nazionale, l'attore Mei Gibson, è stato sbertucciato quando dalla sua villa di Los Angeles è comparso in tv per esprimere il suo «amore per Sua Maestà». E si scopre che, pur scendendo in campo con i colori di Elisabet¬ ta, il partito monarchico è talmente insicuro da preferire un altro nome: si fa chiamare «No Republic Group». E' tutto detto. Secondo i sondaggi il 67 per cento degli australiani sono in favore della svolta repubblicana e soltanto il 27 per cento vogliono il mantenimento del legame monarchico con Londra. La verità è che, con l'apertura dell'immigrazione dall'Asia, la tradizionale comunione culturale con la vecchia Inghilterra si sta erodendo. Su poco più di 18 milioni di abitanti, dicono le statistiche, quasi un quarto è di immigrati; e il 13,9 per cento è nato in Paesi che non hanno l'inglese come madrelingua. Un crogiuolo di razze e di idiomi che fa dire a Gatjil Djerrkura, leader aborigeno, quanto siano anacronistici i legami con Londra: «L'Australia deve riconoscere oggi, con orgoglio, la diversità culturale della sua gente». Il primo ministro Howard, mentre s'inagurava a Sydney una mostra dei bozzetti per la nuova bandiera senza Union Jack, ammonisce di essere contrario alla repubblica «perché le alternative finora esaminate non offrono un miglior sistema di governo». Ma si arrende ai fatti. E se l'immagine della nuova repubblica non emergerà a larga maggioranza dalla Costituente, ha detto ieri, chiederà agli australiani di votare in un pre-referendum per determinare su quale formula dovrà poi pronunciarsi il referendum. Ma non è, per i repubblicani, semplice come appare. Sbarazzarsi della monarchia è più facile che stabilire la precisa alternativa. Howard è categorico: non ci devono essere terre¬ moti. «E' il simbolismo dell'attuale sistema più che il sistema stesso a dover essere scartato», ha detto. Anche Malcolm Turnbull, che è a capo dell'Australian Republican Movement, è in favore di cambiamenti minimi: il suo «modello Keating», così ribattezzato dal nome del primo ministro che provocò scandalo a Londra e ilarità in Austraba per avere «osato» infrangere il protocollo sfiorando la schiena della regina quando l'incontrò nel 1992, consiste nella nomina del nuovo Presidente con i due terzi dei voti parlamentari. Altri vogliono di più: un Presidente a suffragio universale o addirittura - è il caso del gruppo A Just Republic - una costituzione nuova di trinca. Persino le femministe dicono la loro, con la proposta di un'alternanza dei sessi alla presidenza. L'ampio ventaglio di ipotesi rende difficile la scelta di un'Australia decisa ormai a camminare da sola. Fabio Galvano Il premier Howard col laborista Beazley. A destra, la Regina
Persone citate: Beazley, Gibson, John Howard, Keating, Malcolm Turnbull, Mei
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