Ma il pds boccia il ritorno al passato
Ma il pds boccia il ritorno al passato Ma il pds boccia il ritorno al passato «Il maggioritario è una linea da cui non si arretra» ROMA. Il pds dice «no». La soluzione per correggere la legge elettorale «imperfetta», che non «dispiega effettivamente il bipolarismo» è nel doppio turno e non in un ritorno alla proporzionale: Cesare Salvi, presidente dei senatori della Sd e relatore in Bicamerale, boccia l'ipotesi di Berlusconi di ridiscutere le norme elettorali. «Berlusconi - dice Salvi al Tg3 - è sempre stato convinto che il maggioritario non sia un gran che. Del resto non c'è da maravigliarsi, lo dico non polemicamente: Berlusconi era vicino a Craxi che ha sempre sostenuto posizioni a favore della proporzionale. Anche nella precedente Bicamerale Craxi e Cossutta convergevano su questa linea». Secondo Salvi «il maggioritario è una linea di non ritorno per il Paese». Sulla stessa lunghezza Gerardo Bianco: «Sul sistema elettorale interno è difficile tornare indietro. Non è in questa direzione che si possono fare correzioni anche perchè bisognerà tenere conto che c'è sta¬ to un referendum su questa materia». Ma l'idea del Cavaliere qualcuno seduce: è Umberto Bossi, che guarda sempre più verso il Polo. Anzi, verso Silvio Berlusconi. Da dopo l'estate si vanno sviluppando tentativi di ritessere la tela strappata tra Polo e Lega. Ora l'occasione della ricucitura la offre il miraggio del ritorno al proporzionale. E dopo l'appello di Cossutta, stanno venendo allo scoperto anche gli altri che, finora, si erano sentiti imbarazzati ad affrontare il problema. La Lega è della partita. «Noi non possiamo che applaudire alla proposta di Berlusconi di discutere di una legge proporzionale con sbarramento, ma ad una condizione: che domani non cambi idea» spiega Roberto Maroni, numero due della Lega. Il quale è comunque perplesso sulla sortita di Berlusconi perché equivale all'«atto di morte del Polo». Se non è morto, il Polo non sta di sicuro bene, visto che da una parte Fini è in assonanza con D'Alema sulla riforma semipresidenziale e il sistema bipolare, e dall'altra Berlusconi è in assonanza con Cossutta sul ritorno al sistema proporzionale (con sbarramento ai partiti che prendono meno del 5% dei voti) che pare un siluro al sistema bipolare. La spaccatura nel Polo fa gioire Cossutta, che può dire che «la partita per la proporzionale è apertissima e Rifondazione è pronta a fare accordi con tutte le forze politiche interessate, siano esse di sinistra, di centro e anche di destra». «L'asse Fini-D'Alema è troppo poco per poter garantire la costruzione del nuovo edificio costituzionale» certifica Cossutta ora che sente di avere dalla sua parte addirittura Berlusconi. Sono per il ritorno al proporzionale, ovviamente, anche i centristi del Polo, il Ccd. Che, però, non vorrebbe lo sbarramento del 5%, che non lo farebbe entrare in Parlamento. Di sicuro, spiega D'Onofrio, è stato «superato» il patto per le riforme stretto tra D'Alema, Berlusconi, Fini e Marini. Ma non tutti in Forza Italia seguono Berlusconi sulla riforma proporzionale. Calderisi, per esempio, dissente. Nettamente contro il proporzionale è An, così come il pds (doppio turno, propone Salvi). E anche popolari e verdi (che, pure, potrebbero es¬ sere interessati), rispondono che non è possibile. «C'è stato un referendum» ricorda Gerardo Bianco, presidente del Ppi. Mario Segni, che fu promotore di quel referendum trasecola: «E' mcredibile. Sono esterrefatto». Intanto, ieri, è da registrare un duello tutto bolognese fra Bossi e Prodi sul tema fiscale. «Il Paese è sensibile alle leggi, non a Bossi» insiste il Presidente del Consiglio, di fronte alla minaccia leghista di non pagare le tasse. «Non pagare le tasse è un reato» aveva avvisato sabato il capo della Lega, che è furioso perché il procuratore di Verona ha chiesto di rinviarlo a giudizio, con 40 leghisti. Replica Umberto Bossi alzando le spalle: «Vediamo cosa dice la gente. Quello che dice Prodi non è molto interessante ai fini delle mie preoccupazioni personali». Il segretario della Lega, in effetti, è preoccupato non tanto per l'accusa di attentato all'integrità dello Stato, quanto per la seconda ipotesi di reato: attività diretta a deprimere il sentimento nazionele, prevista dall'art. 271 del codice penale. La pena prevista è tre anni di carcere, ha spiegato lo stesso Bossi ai cronisti che lo tallonavano a Bologna ed è quindi «una stupidaggine». Ma c'è un problema: in caso di condanna di Bossi potrebbe essere sciolto il suo partito. «Non si cancella così un referendum» Segni: esterrefatto A sinistra il presidente del Consiglio Romano Prodi Qui accanto il capogruppo del pds al Senato Cesare Salvi
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