«Solo l'ironia ci salverà»

«Solo l'ironia ci salverà» «Per me il lavoro è un hobby e anche una vocazione, come fare il violinista» «Solo l'ironia ci salverà» Bocca: l'Italia non è abbastanza seria GIORGIO Bocca, esiste nella sua vita il concetto di tempo libero? «Quando lavoro per me è tempo libero. Lavorare è la parte più divertente e centrale della mia vita. Come diceva Barzini, fare il giornalista è meglio che lavorare. Penso a quelle persone che lavorano ai botteghini delle autostrade, quello sì che è lavoro. Uno che scrive che tempo libero vuole che abbia!». Lei però va spesso in montagna. «Da parecchi anni non faccio più distinzione fra vacanze e no. I periodi di vacanza procurano maggiori difficoltà per comunicare e scrivere». Quando dice scrivere intende libri o articoli? «Intendo partecipare alla vita. Devo dire che mi piace essere interpellato su cosa succede». E' cambiato il mestiere di giornalista? «La scrittura conta molto meno della parola. La tv è dominante. La gente non solo legge meno, ma anche più rapidamente. Mio zio, maresciallo di cavalleria, leggeva tutto ed era sempre in ritardo di due giorni. Il giovedì finiva il giornale del martedì. Oggi si leggono solo i titoli Mi ha stupito che Ceronetti dicesse che i giornali non sono letti perché ci sono troppe cose. Io penso che ce ne sono meno di una volta. Siamo arrivati al disastro dell'economia asiatica senza saperne nulla. In Algeria ammazzano centinaia di persone alla volta e non riusciamo ancora a capùe perché...». A lei piace fare inchieste? «Non le fa più nessuno. Ogni tanto, per far vedere che sono ancora vivo, vado in Sicilia a fare un'inchiesta sulla mafia o a Torino sulla Fiat. Non interessano più le inchieste. Il mercato mondiale non vuole più l'inchiesta». Che cosa deve fare il giornalista moderno? «Secondo le età. Oggi i giovani si occupano di retroscena della politica: il fatto che ci siano tanti processi di Tangentopoli in cui sono e,involti da una parte grandi imprese e dall'altra politici vuol dire che i politici hanno grande importanza. Ormai rimangono soprattutto finanzieri e politici. Sono scomparsi o quasi gli ingegneri, i professionisti». E il giornalista? «Serve molto come uomo di propaganda. Facciamo il caso dei Cobas. Il giornalismo non ha avuto quasi ruolo». Lo rifarebbe il giornalista? «Certo, non sapendo fare altro. E poi è un po' una vocazione come fare il violi'asta». Quante ore lavora? «Io "non" lavoro 10-12 ore al giorno». A casa sua? «Sì. E quando comincio ad annoiarmi smetto». Fa molta ricerca? «Certo. Scherzavo un po' dicendo che non lavoro. C'è anche ima componente di fatica. Ci vuole buona salute. Domenica scorsa avevo un po' di influenza e dovevo finire la mia rubrica per "L'Espresso". Mi è venuto un momento di panico. Se non l'avessi fatta, sarebbe stata la prima volta in 32 anni». Ci vuole molta disciplina? «Sì, e buona salute. Facendo l'inviato speciale si faceva gran fatica. Andai nel Bangladesh dove c'era un'inondazione e dormii per due notti sulla tolda di una nave. E' un mestiere simile a quello di un attore. L'attore pensa che morirà sul palcoscenico, il giornalista che non smetterà di scrivere nemmeno nel momento della malattia». Lei ha cambiato casa. E' stato un trauma? «Sì, un avvicinamento alla fine. Nel corso della mia vita professionale ho migliorato le mie case. Questa è la più ricca di tutte e mi sta suggerendo che si avvicina la fine». La fine le fa paura? «Enormemente, e a chi non fa paura? Per tutta la vita la casa mi era secondaria. La mia vera casa era la redazione. Adesso non ci vado più e mi manca». Il suo momento più felice è stato quando lavorava al «Giorno»? «Sì. Eravamo dentro la società italiana. Avevo l'impressione che quello che scrivevo contava per la gente. Adesso la cosa più difficile è che un giornalista non sa più a che società appartiene. Un tempo si riconosceva un lettore da come era vestito, da come parlava e si comportava». E chi sono i suoi amici? «Ne ho pochissimi, non perché sia asociale, ma gli amici sono quelli con cui vai in montagna o lavori, insomma condividi le esperienze di vita. L'amicizia è una questione di età, da vecchi è più difficile. In fondo, uno dei miei amici è l'avvocato Agnelli, non perché lo frequenti, ma perché abbiamo passato le stesse esperienze: la guerra, il Piemonte quando eravamo giovani...». Avrebbe voluto (Ungere un giornale? «Non ho voluto perché non ero ca¬ pace di farlo. Io voglio rispondere solo delle mie azioni e poi ci vuole troppa pazienza. Conosco molti direttori di giornali e non mi sembra un mestiere felice. Il migliore direttore per me fu Italo Pietra, che non era un giornalista ma un mediatore». L'Italia dell'Ulivo le piace? «Mi piace "faute de mieux". Questo governo è come una pentecoste, fatto di uomini di diversi partiti e provenienze. E' stata l'unica vera novità politica». Lei è un uomo di sinistra? «Non sono mai stato comunista, per poco socialista». Che ruolo hanno avuto Milano e Torino nella sua vita? «A Torino ho avuto rispetto. Il rap¬ porto che c'è con la gerarchia non si discute. Se penso che Gobetti la pensava come me sul servizio militare e cioè che andava fatto! E' un sentimento che fa ridere in tutto il resto d'Italia. Verure a Milano, città più libera, mi ha dato un po' di sollievo». E Roma? «E' la perdizione, la puttana. Sono pregiudizi cretini, ma forti. Quando guardo Porta a Porta mi pare di vedere una riunione al Palatino ai tempi di Caligola. Satrapetti e leccastivali. La politica romana dà un'assoluta idea di decadenza». Ma lei è un buon padre? «Sono un ottimo padre, ma ho scoperto alla mia veneranda età che non lo sono solo per ragioni senti¬ mentali ma anche per narcisismo. Sono un risparmiatore paranoico di soldi, perché penso che lasciare ai propri figli dei soldi sia importante». In fondo, lei è un conservatore attaccato alle sue origini. «Sì, ci sono conservatori come D'Azeglio e Alfieri che non erano né codini né forcaioli». Ma lei ride, si diverte? «Sì, rido moltissimo. La gran differenza tra gli azionisti e i comunisti è che gli azionisti ridono. Il mio maestro assoluto è Vittorio Foa. L'ironia è l'unica cosa che può salvare una persona in un Paese poco serio come l'Italia». Alain Elkann I Sono un ottimo padre, ma ho scoperto 1 alla mia veneranda età che non lo sono solo per ragioni sentimentali ma anche | per narcisismo. Sono un risparmiatore paranoico, perché penso che lasciare ai propri figli dei soldi sia importante DOMENICA CON I 1 | Da sinistra, Giorgio Bocca e Guido Ceronetti. Nella foto sotto, Vittorio Foa Di lui Bocca dice: «E' il mio maestro assoluto. Ha sempre conservato il senso dell'ironia»