L'Anonima 'ndrangheta lancia l'ultima sfida

L'Anonima 'ndrangheta lancia l'ultima sfida INCHIESI LA METAMORFOSI DELLE COSCHE Gli inquirenti di Reggio Calabria: «150 miliardi per il sequestro Sgarella sono un segnale» L'Anonima 'ndrangheta lancia l'ultima sfida REGGIO CALABRIA DAL NOSTRO INVIATO Il faccendiere Pepe fece smontare la macchina alla ricerca della microspia. Non avendola trovata, prese l'autostrada in direzione di Milano portandosi dietro la benedizione dei Piromalli e nella borsa le carte che servivano alla sceneggiata di un imprenditore che offriva servizi e chiedeva lavoro. Nella sede della Med Center di Milano, prima tirò fuori le carte e parlò per allusioni. Poi, visto che non capivano, venne al dunque: un dollaro e mezzo di tangente per ogni container che toccava i moli del porto di Gioia Tauro. Tradotto in lire, per un milione e mezzo di container previsti ogni anno, 4 miliardi abbondanti di tangenti. 0 prendere o lasciare. Il fatto è che la microspia, sull'auto, c'era davvero. E non solo. Negli uffici della Med Center (la società che gestisce il porto) gli agenti della Dia avevano anche installato una piccola telecamera che ha registrato il teatrino di Pepe e insieme l'atto simbolico e rivelatore della crisi di quella holding tutta italiana e molto particolare che si chiama 'ndrangheta. Tempeste di mercato, caduta di liquidità, aiti costi della ristrutturazione, necessità di immagine. In altre parole congiuntura negativa sul mercato della droga, bisogno di soldi per far fronte ai costi (umani e finanziari) dei processi, fame di denaro per recuperare i beni (e la faccia) perduti nei sequestri e nelle confische dei patrimoni. Veniamo a Reggio per capire se davvero ci sia questa «crisi» della 'ndrangheta di cui parla il giudice milanese Armando Spataro ragionando sul sequestro di Alessandra Sgarella. Cinquanta miliardi di riscatto non sono uno scherzo, ma un messaggio, partito secco come ima fucilata, che bisogna saper leggere e interpretare. Che significa? Enzo Macrì, sostituto procuratore nazionale antimafia e memoria storica delle inchieste sulla 'ndrangheta, conferma: «Sì, è un segnale». Il magistrato premette di parlare soltanto per «ipotesi», nel senso che non ha alcuna notizia certa sul rapimento Sgarella anche se tutto lascia pensare che davvero possa essere un «lavoro» calabrese. Detto questo, la cifra di 50 miliardi rappresenta una «richiesta terroristica, non una trattativa economica». Perché? Tutte le inchieste sui sequestri di persona, specie quelli gestiti nel triangolo aspromontano di Locri-Platì-San Luca (a cui corrisponde una specie di quadrangolo nell'hinterland milanese: Trezzano-Buccinasco-Cesano BosconeCorsico) hanno dimostrato che sono stati concepiti all'interno di una logica «centralizzata e unitaria». Mai da gruppi sciolti. Se questo è vero, significa che la cupola calabrese ha deciso di passare all'azione usando l'arma che conosce meglio e parlando una lingua che tutti possono capire: il sequestro di persona. Da cinque anni i calabresi non facevano più rapimenti, un business complicato seppur redditizio: di ogni sequestro si scopre almeno qualche esecutore, ma mai l'intera banda, né mai si è recuperato il riscatto, se non in parte minima. Perché dunque riprendere? Per bisogno di soldi, na- i PALERMO turalmente. Ma Macrì ha anche un'ipotesi più sofisticata. «Il sequestro di persona è un reato che dura a lungo e che comporta una forma di comunicazione tra criminalità e mondo esterno, compresi pezzi di apparati dello Stato. E' possibile che in questo momento la 'ndrangheta avesse bisogno di stabilire una qualche forma di comunicazione che da tempo si è interrotta. Nel passato i boss erano tutti, a loro modo, confidenti. Non s'è mai capito bene con quale utilità, ma lo erano. Può darsi che debbano parlare, che si sentano stretti in una situazione difficile. Ecco, quei 50 miliardi sono insieme una richiesta di dialogo e un'intimidazione». Arriviamo in questura mentre la squadretta di giovani funzionari messa su dal questore Franco Malvano sta metaforicamente brin dando alla confisca definitiva di cento e passa miliardi di beni immobili sequestrati a Rocco Musolino, «re della montagna», ex sindaco di Santo Stefano d'Aspromonte, zio dell'attuale sindaco, anch' egli mo¬ mentaneamente in carcere. I giovanotti di Malvano sono la prova vivente di una mutazione genetica della lotta alla 'ndrangheta. Hanno studiato economia, sanno guardare dentro i bilanci, frugano dietro le teste di legno delle società fittizie, hanno una teoria e una pratica di come si lavora contro la 'ndrangheta. Ci spiega uno di loro: «Spesso i mafiosi sono degli imprenditori capaci. Prendiamo questo Musolino, è un bravo organizzatore. La sua vicinanza alle cosche gli ha portato ettari ed ettari di bosco. Ma lui lo gestiva bene: società agricole e aziende boschive. L'ambiente è particolare: agli imprenditori che accettano il gioco, offre un rischio di impresa pari a zero. Il flusso di denaro è continuo, non hanno problemi di mercato, gb' operar non protestano mai, il vincolo associativo (nella cosca, ndr) determina una situazione di totale tranquillità nel rapporto con il territorio». Ai cento e passa miliardi di Musolino, ne vanno aggiunti altri 300 sequestrati (e in via di confisca) a varie cosche. Per esempio a quella dei Frascati che avevano tutte le concessionarie auto di Reggio e attraverso la Reggio-lat distribuivano Parmalat in città a provincia. E poi il gotha delle famiglie calabresi: Mammoliti, Pùomalli, Priolo, Ruggero, Annunziata, Iamonte, BarbaI ro, Leuzzi, Garofalo. E non è mica facile, anche se adesso i giudici sono ben diversi da quelli che anni fa mandavano tutti assolti per insufficienza di prove: bisogna dimostrare, che quel patrimonio è stato acquisito con soldi di riciclaggio. Dunque la 'ndrangheta è in crisi? Sorridono amaro, in questura: «No, il controllo del territorio è totale. Apparentemente pacifico, ma tota¬ le». Lontana è la guerra di mafia dei 500 morti (1986-91), ma gli uomini della squadra mobile ci raccontano di avere appena chiuso un'operazione antiracket nel quartiere Boschicello. Dove tutti, diconsi tutti, commercianti, artigiani, imprenditori, pagavano il pizzo (dal 3 al 6% dell'imponibile, a seconda di compartecipazioni, subappalti e anelli vari della catena economica mafiosa) alla cosca di Peppe Caridi. Eppure, interrogati, e al riparo della notizia dell'avvenuto arresto del boss, il 90% di loro ha negato di aver mai pagato. 'Ndrangheta in crisi? A Reggio ci sono processi e inchieste con circa seicento imputati; in carcere ce n'è più di un migliaio. Per una società mafiosa questo significa famiglie da mantenere per evitare pentimenti, spese processuali, parcelle di avvocati, prospettive incerte. Ma la crisi si sente a Milano e dintorni dove il mercato dell'eroina (che sbarcava sulle coste joniche proveniente dalla Turchia lungo le stesse rotte battute ora dai trafficanti dei curdi disperati) s'è fatto difficile: arresti, sequestri, concorrenza, anche delle neo-droghe sintetiche provenienti dall'Est. La cocaina resta un appannaggio dei calabresi che, in Colombia, a Medellin hanno in Domenico Cavaliere un rappresentante fedele. Ma il mercato è turbolento e lontani gli anni in cui le cosche dell'hinterland milanese guadagnavano in un solo giorno 4-500 milioni. Ci dice Macrì: «Qui in Calabria la 'ndrangheta non è in crisi; a Milano sì». Tanto da sparare in aria un se gnale terrorizzante come i 50 mi Bardi di riscatto per Alessandra Sgarella. O da mandare allo sbara giro, in disperata e primitiva mis sione di racket, il faccendiere «Giù seppe-Pepè-mi-manda-PiromaUi» inseguito da un bip-bip. Della Dia. Cesare Martinetti «I clan hanno difficoltà sui mercati della droga e cercano molti soldi per far fronte ai processi e ai sequestri di beni Quel riscatto riflette quindi una nuova strategia e rappresenta una richiesta di dialogo oltre che un'intimidazione» L'Anlani PALERMO turalmente. Ma Macrì ha anche un'ipotesi più sofisticata. «Il sequestro di persona è un reato che dura a mentaneamente in carcere. I giovanotti di Malvano sono la prova vivente di una mutazione genetica della lotta A sinistra una manifestazione a Locri contro la mafia. A destra un'immagine di San Luca