AMATO EUFEMISMO di Franco Lucentini
AMATO EUFEMISMO DALLA PRIMA PAGINA AMATO EUFEMISMO portato in tribunale per la stupenda scena del fiacre in Madame Bovary, stavamo per Henry Miller e il fluviale turpiloquio dei suoi Tropici e trovammo a suo tempo grottesche le pesanti censure democristiane a spettacoli, romanzi, rivistine con lampi di seno nudo. Abbiamo cambiato idea? Siamo diventati con gli anni bacchettoni, cripto-integralisti? Sfogliando serenamente il nostro passato personale notiamo che le parolacce le abbiamo all'occorrenza usate solo fra noi due, mai in presenza di bambini e donne. Talvolta ce ne è scappata qualcuna in macchina, contro un altro automobilista evidente testa di... e palese figlio di... Ma le stesse ingiurie rivolte contro di noi a un semaforo ci hanno sempre turbati, non tanto però per la loro volgarità quanto per la violenza che implicavano e che rifletteva la nostra stessa violenza, potenzialmente omicida. Alle parolacce entrate nell'uso, pronunciate così, con spassionata naturalezza da un ministro come da ina ragazzina, da un camionista come da una giornalista, proprio non riusciamo ad adattarci. Forse perché vi scorgiamo un sintomo della perdita dei valori? Ma a noi la lagna sui valori ha sempre rotto potentemente le scatole, sia lodato l'eufemismo. I valori, per noi, sono quelli terra terra della convivenza sopportabile, non gettare cartacce in terra, non mettere le dita nel naso, cedere il posto agli storpi, parlare a voce bassa nei ristoranti. E' a questa categoria che credevamo appartenessero l'impiego o il non-impiego delle parolacce. Era la comune frontiera non già del pudore, dell'eleganza, della moralità, ma della semplice buona educazione che davamo per scontata. Si fa, si pensa, si arriva quasi a dirlo, ma alla fine non si dice per non offendere le orecchie di chi ci sta intorno. Quella frontiera è crollata, la società è più libera, disinibita, sincera e senza dubbio più volgare. Con un brividino ci vengono in mente i libelli contro la regina Maria Antonietta poco prima del 1789, fogli di una volgarità inaudita, traboccanti di oscenissime trucibalderie. La parolaccia prodromo della ghigliottina? Forse. Ma osceni erano certi riti degli antichi, oscene le processioni in onore di Dioniso, Bacco, Sileno, oscene le feste carnevalesche medioevali. Ci infastidisce probabilmente l'oscenità non codificata, la sfrenatezza perpetua, senza stagioni, senza legami con gli dei, senza neppure più l'intento di trasgredire. Ricordiamo il bel saggio di George Orwell in lode delle cartoline salaci che vendeva nella sua piccola tabaccheria vicino a Londra. Da quelle sconcezze plebee Orwell partiva per tessere un elogio di Sancio Pancia, il popolano di buonsenso, sboccato, triviale, carnale, contrappeso indispensabile alla sognante figura del suo aristocratico padrone con la testa perduta tra nuvole eroiche. Tesi convincentissima. Solo che oggi, a oltre 50 anni da quello scritto, sembra chiaro che la società pende tutta dalla parte di Sancio, è lui che ha trionfato, è il suo linguaggio che ha prevalso, e nessuno sa dove cavolo (altro eufemismo) sia finito Don Chisciotte. Carlo Frutterò Franco Lucentini
Persone citate: Bacco, Carlo Frutterò, Don Chisciotte, George Orwell, Henry Miller, Maria Antonietta, Orwell, Sancio, Sancio Pancia, Sileno
Luoghi citati: Londra
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