Una sentenza di morte fra Teheran e i Quindici di Luigi Grassia
Una sentenza di morte fra Teheran e i Quindici Fustigata la giovane. La Germania: violati i diritti umani e compromessi i rapporti con l'Ue Una sentenza di morte fra Teheran e i Quindici Tedesco condannato in Iran per rapporti con una musulmana ROMA. La diplomazia italiana è impegnata in un grande sforzo per chiarire equivoci e gettare ponti fra i due mondi, ma Europa e Iran sembrano tornare a parlare due lingue intraducibili. Mentre il ministro Dini incontrava al Forum di Davos il pari grado Kharrazi (atteso domani in Vaticano dove spiegherà al Papa il nuovo corso del presidente Khatami), una notizia da Teheran e la sdegnata reazione di Bonn riportavano indietro le lancette dell'orologio: un cittadino tedesco è stato condannato a morte nella Repubblica islamica per aver avuto rapporti (consensuali) con una donna musulmana, a. tanto è bastato, in base alla Sharia - o almeno all'interpretazione che ne danno le autorità di quel Paese, perché in verità nemmeno i dottori della Legge locali sono unanimi al riguardo - per decretare la prossima soppressione di un povero signor Hel¬ mut Hofer, 54 anni, imprenditore di professione e playboy nel tempo libero. La Germania fa fuoco e fiamme, il governo bolla la sentenza come un atto che «viola tutti i principi di giustizia e umanità», che sarà «duramente condannato in tutto il mondo» e che «comprometterà la ripresa dei rapporti fra i Quindici e Teheran». Rapporti che erano stati rovinati da un altro «affaire» tedesco-iraniano, la bomba messa al ristorante Mykonos di Berlino nel 1992 da agenti degli ayatollah per uccidere quattro oppositori curdi espatriati (nell'aprile del '97 un tribunale tedesco ha indicato come mandante il regime degh ayatollah, ne è seguito il richiamo di tutti gli ambasciatori dell'Ue). Nello sforzo di riallacciare i fili, proprio di diritti umani e di terrorismo ha parlato ieri Dini a Davos con l'interlocutore iraniano, registrando segnali posi¬ tivi, almeno nella intenzioni. Ma la strada della normalizzazione è lunga se Kharrazi ha proclamato che «ogni Paese fa valere le sue leggi sul proprio territorio». Come se i diritti umani non fossero universali. La «relazione sessuale illecita» tra Helmut Hofer e la ragazza ha avuto luogo qualche mese fa a Mashhad, un città nel Nord Est del Paese dove il tedesco si era recato per ragioni di lavoro. Dopo una visita in patria, Hofer fu arrestato nel settembre scorso all'aeroporto «Mehrabad» di Teheran, al rientro dalla Germania. Poco prima la polizia aveva fermato nella hall di attesa la sua donna, una ventiseienne che si faceva notare per il suo abbigliamento un po' troppo disinvolto rispetto ai canoni di legge (per quanto le autorità siano ormai di manica più larga nel valutare gli abiti femminili). Gli agenti le chiesero che cosa facesse lì, e lei can- didamente confessò che stava aspettando il fidanzato. Parola che fece scattare come molle i poliziotti. Dopo l'arrivo di lui, i due incauti ammisero anche di aver avuto rapporti sessuah. Scattarono le manette. In questi mesi le autorità di Bonn hanno messo la sordina sul caso, puntando a far liberare il loro concittadino senza troppo clamore. Invece è arrivata la doccia fredda della condanna a morte (che peraltro po¬ trebbe essere commutata dalla Corte suprema di Teheran, tribunale di ultima istanza). Lui rischia la lapidazione o l'impiccagione. La ragazza implicata se l'è cavata con una pena «mite»: la fustigazione, perché non essendo sposata non ha commesso adulterio. Il reato contestato a Helmt Hofer si chiama «zenaye molisene», e copre non solo il rapporto sessuale con la donna d'altri, ma anche la relazione tra un non-musulmano e una donna musulmana. Esperti di diritto islamico a Teheran hanno dichiarato ieri che è probabile che la Corte suprema commuti la pena, perché a loro dire la morte dovrebbe essere inflitta all'uomo solo se la donna è sposata, oppure se è stata stuprata. E il caso di Hofer non rientra in nessuna delle due fattispecie. Luigi Grassia Progressi a Davos fra Dini e Kharrazi che però ribadisce: è la nostra legge Nella foto grande il presidente iraniano Khatami e (sopra) il ministro Kharrazi
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