E adesso ci tocca dar ragione al Senatur? di Lorenzo Mondo

E adesso ci tocca dar ragione al Senatur? E adesso ci tocca dar ragione al Senatur? Sono stati molti gli italiani che l'altra sera, davanti alla tv, hanno manifestato una divertita incredulità mentre si parlava di Bossi. E non, questa volta, per una sua ennesima esibizione sguaiata e pittoresca. Protagonista era invece il p.m. Guido Papalia che da Verona, fortezza del Quadrilatero risorgimentale, si contrapponeva anche linguisticamente (la gessosa imperturbabilità del codice) al leader della Lega. Chiedeva per lui e una quarantina dei suoi il rinvio a giudizio con imputazioni da ergastolo. Solidali con Bossi, con i suoi tracotanti proclami, le contumelie da strapaese e strabarriera? Ma no, si tratta soltanto di rispettare il senso delle proporzioni, di lasciare spazio alla critica franca del riso. Tralascio le ragioni dell'opportunità politica, le conseguenze di un provvedimento che decapiterebbe e «chiuderebbe» uno dei più consistenti partiti del Nord. Parto piuttosto da una questione di principio che, nella coscienza del cittadino e dell'uomo moderno, viene prima delle stesse tavole della legge. Bisognerebbe tenerne conto, in base a un concetto di discrezionalità non separato dalla saggezza. L'attentato all'integrità dello Stato non si configura propriamente se, non soltanto il federalismo ma la secessione, viene perseguita con mezzi democratici e pacifici. Voglio dire che se un popolo trova in sé sufficiente omogeneità, forza morale e ideale per darsi proprie leggi e ordinamenti, non si vede chi potrebbe civilmente impedirglielo. Non è il caso della Padania, dagli incertissimi confini geografici ed etnici, dalla non totalitaria propensione secessionista, conficcata in una Italia, in una Europa permeabilissime ai processi di integrazione e di globalizzazione. Ma, ripeto, non si potrebbe negare a una ipotetica, riconoscibile celtitudine, magari perseguitata, quello che si rivendica idealmente per il Kurdistan. Sarebbe tutto qui il reato? Perché non bastano le «camicie verdi» e le guardie padane a dimostrare una violenta, unilaterale disposizione se- paratista. Nulla di paragonabile agli attentati in Alto Adige per i quali, nei giorni scorsi, il presidente della Repubblica ha concesso la grazia a quattro ex terroristi degli Anni Sessanta. In questa materia delicatissima occorre tenere conto di fatti precisi, incontrovertibili: come ad esempio l'occupazione del campanile di San Marco a Venezia, sulla quale si sono abbattute condanne anche troppo severe e senza che gli stessi leghisti si siano mobilitati. E fatti sono quelli annunciati da Bossi sui quali occorrerà vigilare e provvedere, nel caso, con tempestive sanzioni. Il rifiuto di pagare le imposte allo Stato italiano e l'istituzione di una scuola padana (accettabile soltanto se si riducesse all'introduzione nella scuola statale di corsi facoltativi, che so, di lingua bergamasca o pavana). Ma Bossi ci ha abituati da tempo a ritirate strategiche dalla velocità proporzionale all'estensione delle fughe in avanti. Guai però a confondere i problemi, a ingenerare un clima di sospetto che finisce per indebolire la magistratura e le sue iniziative, incluse quelle contro la corruzione. Ventilare l'ergastolo per il «disegno» eversivo di Bossi? Guardiamoci intorno, per favore. Non dimentichiamo che in Italia pluriomicidi accertati che cambiano o fingono di cambiare campo ottengono, non dico l'ergastolo, ma la totale impunità. Che sequestratori incalliti e tagliatori di orecchie, beneficiando di permessi per buona condotta, si danno alla macchia e riprendono la loro lucrosa attività. In questa situazione di irresponsabile longanimità, si mostra la faccia feroce alle semplici blaterazioni (e alle ragioni) di Bossi? Più che un errore, sembra uno scherzo di Carnevale. Bum! Lorenzo Mondo

Persone citate: Bossi, Guido Papalia

Luoghi citati: Europa, Italia, Kurdistan, Venezia, Verona