Sul filo della Memoria

Sul filo della Memoria Sul filo della Memoria AVVENTURE SUL PO Cera l'hangar dell'idrovolante e Tofo che faceva il traghettatore TEMPO fa ho visitato la mostra fotografica dedicata a Mario Gabinio con immagini riprese sul Po negli Anni 20 e 30. Si vedevano le barche attraccate alla riva - scrive Francesco Brunetti, torinese - i ponti in costruzione ed anche un piccolo idrovolante che galleggia sulle acque. Lo ricordo molto bene quell'aereo perché fa parte dei miei ricordi d'infanzia. Era l'idrovolante postale che, partendo dal Po, collegava Torino con Porto Rose, vicino a Trieste, passando per Pavia e Venezia. Bicordo il passaggio di questo aereo perché, all'epoca, abitavo in via Albugnano, alla Barriera di Casale; la via era, ed è rimasta, uno budello che sale verso la collina. Nel pomeriggio il rombo dell'idrovolante richiamava l'attenzione e, se si era attenti e fortunati, lo si poteva intravedere nel breve spazio tra le case, in volo verso Est. Ero molto giovane ma il passaggio di un aereo era un avvenimento così eccezionale che rimase ben impresso nella memoria. A questo si aggiunge il fatto che il mio carissimo e dinamico zio Battista un giorno mi portò a vedere il curioso hangar, costruito sul Po, nel quale veniva ritirato l'idrovolante. L'hangar non esiste più, e oggi, forse, rimane soltanto l'altro hangar uguale, sul Ticino, vicino a Pavia. Era una bella costruzione ed era un punto di riferimento per le mie gite in barca. Partivo da piazza Vittorio Veneto, dopo aver noleggiato l'imbarcazione da Franchino, il baffuto proprietario del primo imbarcadero sui Murazzi che si incontrava scendendo dalla piazza. Non avevo ancora i quattoridici anni, età minima per poter noleggiare la barca ma il buon Franchino chiudeva un occhio. Vogando con energia, sino a sbucciarmi le mani, arrivavo all'idroscalo, cioè all'hangar, facevo una fermata vicino alle rampe che servivano per issare il velìvolo e poi con il favore della corrente ritornavo all'imbarcadero in tempo per correre come un disperato a scuola, in corso San Maurizio. Ai Murazzi vi erano vari noleggiatori di barche, anche Pavese accenna, nei suoi libri, a questo sport al quale si dedicava pure lui. Tra l'altro ricorda un personaggio tipico, un traghettatore conosciuto con il nome di Tofo. Quest'uomo lavorava durante tutto l'anno a traghettare da una riva all'altra del Po, all'incirca nella zona ove ora si trova l'ospedale Cto. Anch'io ho usato più volte il traghetto quando, con gli amici, mi dirigevo verso la collina per fare una passeggiata. Il traghetto funzionò anche dopo la fine della guerra ma io ho avuto la possibilità di conoscere Tofo negli Anni Trenta. Ho una fotografia nella quale si vede questo simpatico Caronte con in braccio il figlio di un amico della mia famiglia e, vicino a lui, ci so - no io, accovacciato. Attorno vi sono la figlia, il genero, mia madre, il mio patrigno e la madre del piccolino. In quell'epoca il Po, per noi torinesi poco abbienti, era quanto di meglio si potesse trovare per rinfrescarci durante l'estate; l'acqua non era particolarmente pulita ma, rispetto alla situazione odierna era ancora decente. Personalmente preferivo bagnarmi nella Stura le cui acque, più rapide e più fresche, davano la sensazione di essere più puh- te. La Dora, invece aveva l'acqua decisamente inquinata e la situazione era peggiore di quella attuale. Parlando di bagni non posso fare a meno di ricordare un mio bagno nel Po, diverso dal solito. Come d'abitudine avevo affittato una elegante canoa canadese da Franchino e, pagaiando con lena, ero giunto all'altezza del ponte di corso Vittorio: due miei amici, su di un'altra imbarcazione, per scherzo, mi speronarono. In pochi secondi mi trovai immerso alla profondità di qualche metro, completamente vestito, compresa la cravatta. Particolare non trascurabile: non sapevo nuotare. In quel frangente ricordai quanto avevo letto nell'ultimo capitolo di Martin Eden, il romanzo di Jack London. Con mani e piedi mi diedi una forte spinta ed emersi. Ero salvo. Ben diversa fu la sorte di un amico dell'ingegnere Dilda, il mio insegnante di radiotecnica. Erano su una barca e furono investiti dalla motonave Vittoria. L'amico, pur eccellente nuotatore, non riemerse. Ne parlarono a lungo i giornali. Il rischio di finire in acqua era abbastanza frequente ma faceva parte del gioco e noi, giovani incoscienti, rischiavamo. Pochi anni dopo ci aspettavano ben altri rischi a causa della guerra e, sulle rive del Po, vidi cadaveri appena ripescati dalle acque ed impressionanti macchie di sangue sulle balaustre del ponte delle Molinette. Il mio lavoro mi portò sempre più vicino alle sponde del grande fiume. La Microtecnica aveva sfollato l'ufficio studi nella scuola A. Parato e, dal cortile di questa scuola, vidi spuntare i bombardieri americani che distrussero lo stabilimento della Riv in via Nizza. Tutte queste tragedie non mi impedivano, però, cu correre, durante la mezz'ora dell'intervallo per il pasto, al vicino imbarcadero e, con alcuni-colleghi, dare qualche rapido colpo di pagaia. Per guadagnare tempo ci abbuffavamo prima di mezzogiorno vuotando il <<barachin» nascosto nel cassetto della scrivania. Oggi, passando lungo i Murazzi, ormai quasi inaccessibili alle persone comuni, rimpiango il lento dondolare delle barche attraccate alla riva e lo scorrere lento dell'acqua simile allo scorrere della mia vita in questa città ormai irriconoscibile.

Persone citate: Caronte, Francesco Brunetti, Franchino, Jack London, Mario Gabinio, Martin Eden, Pavese, Porto Rose

Luoghi citati: Casale, Pavia, Torino, Trieste, Venezia