I bergman, il cinema e oltre di Lietta Tornabuoni

I bergman, il cinema e oltre I bergman, il cinema e oltre Prende il via mercoledì 4 febbraio al Massimo Due, via Montebello 8, «Ingmar Bergman nelle collezioni del Museo del Cinema», personale del regista svedese a cura del Museo Nazionale del Cinema. In programma diciassette pellicole girate dall'autore svedese tra il 1949 e il 1982, anno di realizzazione del suo ultimo capolavoro, «Fanny e Alexander»: ultimo almeno fino al recente «ritorno» del maestro, come riferisce qui sotto Lietta Tornabuoni. Non mancano dal programma (che riportiamo integralmente a pie di pagina) titoli quali «Il settimo sigillo», «Il volto», «Come in uno specchio». PUÒ' vivere Ingmar Bergman senza cinema? Non può. Il grande regista svedese che compie nel 1998 ottant'anni, l'esploratore dell'angoscia esistenziale e del silenzio di Dio, l'analista inimitabile dell'amore coniugale, fornitore di filosofie per la borghesia europea colta e figura culturale alta del Novecento, disse addio ai film nel 1982, col bellissimo «Fanny e Alexander». Sembrò una decisione crudele, fredda, però ammirevole: Bergman aveva sessantaquattro anni; vedeva cambiare sino a farsi per lui incomprensibile quel mondo, quei valori e quei modi del comunicare che aveva rispecchiato in film perfetti; il cinema gli risultava un lavoro fisicamente assai faticoso; «Fanny e Alexander» era stato un successo internazionale tanto straordinario (vinse anche quattro Oscar, e un premio alla Mostra di Venezia) da poter essere considerato il suggello migliore per una carriera unica. Sembrò un gesto in certo modo razionale, superbo nella volontà di non esporsi a una eventuale decadenza senile, pieno di coraggio e di forza nel distaccarsi bruscamente da un mestiere che era la sua vita: ma si rivelò impossibile. Per qualche tempo Ingmar Bergman seguitò a lavorare per quello stesso Teatro Reale di Stoccolma che aveva a lungo diretto, nel quale era stato arrestato nel 1976 da due agenti in borghese per evasione fiscale: fatto traumatico, ferita per l'orgoglio che provocò il suo abbandono della Svezia nell'emigrazione-esilio, un ripudio della patria fortunatamente provvisorio. Per un poco si ritirò nella sua isola, Farò, e in una solitudine molto desiderata. Poi, lentamente, si riavvicinò al cinema insostituibile. Prima attraverso due libri molto belli, l'autobiografia «La lanterna magica» e un volume di memorie nei quali ripercorse l'esperienza di regista e cineasta. Poi con il romanzosceneggiatura cinematografica «Con le migliori intenzioni», storia di dieci anni nella vita dei genitori, dal loro primo incontro nel 1909 alla propria nascita nel 1918, che diventò un film diretto da Bilie August: quasi un modo di fare cinema per procura, per interposta persona. E alla fine, nel 1997, dopo quindici anni è tornato a dirigere direttamente per la televisione un nuovo film che me- scola memorie famigliari e teatro, la vita e la morte, cronaca e cinema, che trae il suo titolo («Fa' rumore e recita, idiota») dalla battuta shakespeariana in «Macbeth» che definisce l'esistenza «racconto fatto da un idiota, pieno di rumore e di furore, che non significa nulla». Il film strutturato in tre parti, con pochi personaggi, evoca uno zio e una nonna di Bergman, mette insieme un manicomio, un tentato assassinio, una ragazza sedotta, una donna sordomuta, un film su Schubert. I telespettatori italiani lo vedranno presto, la Rai ha partecipato alla produzione. Chi l'ha già visto ne parla come d'un capolavoro: l'estrema scommessa metafisica vinta dal grande vecchio che senza il cinema non può vivere. Lietta Tornabuoni Nella foto Ingrnar Bergman durante una conferenza Sotto, una scena del film «Un'estate d'amore»

Persone citate: Bergman, Ingmar Bergman, Ingrnar Bergman, Lietta Tornabuoni, Schubert

Luoghi citati: Stoccolma, Svezia, Venezia