Fabrizio De André Il mondo magico

Fabrizio De André Il mondo magico Fabrizio De André Il mondo magico Fabrizio De André in concerto venerdì 30 e sabato 31 alTeatro Colosseo (via Madama Cristina 71, ore 21). I biglietti costano 75 mila lire (poltronissima), 65 mila (poltrona) e galleria con posti a 55 e 35 mila lire. Ancora disponibili, al momento di andare in stampa, alcuni biglietti di poltrona e galleria. Organizza Metropolis. AH, ma ero ben più vecchio ai tempi/ sono molto più giovane ora», cantava Bob Dylan in «Another Side», e quel proverbio si attaglia benissimo a Fabrizio De André. Alle soglie dei 60 anni, dopo 35 di specialissima «carriera», De André sembra vivo e ispirato come forse mai e ferocemente attuale, questo è il punto. Non era così nei fatidici Sessanta, o almeno non sembrava a me, ragazzo beat con passioni/visioni di cultura americana, che non capiva (e a volte non sopportava) tutto quel girare ancora dalle parti della canzone europea, francese in particolare, e certi modi poetici un po' sussiegosi, suggestivi sì ma paludati, d'altri tempi, senza la polverina eccitante del nuovo. Certo, sbagliavo la mia parte. Avrei scoperto solo con gli anni il tesoro che si nascondeva dietro certe pagine che allora liquidavo con sufficienza, tutto stordito e preso dai miei Zappa e Hendrix e californiani, ma resta il fatto che c'era una barriera, tra questo e quello, e che non solo nel mio gusto e nella mia mente De André non era compatibile con tutto un universo di suoni e emozioni. Anzi, mettiamo le congiunzioni a posto: o questo o quello. Le cose a un certo punto sono cambiate. Credo di sapere anche quando: 1984, «Creuza de ma», quello straordinario album che immergeva De André in un paesaggio che mai avresti detto di musica planetaria, rumori, folk panetnico e che risolveva con un botto, una volta per sempre, l'annosa polemica su quella «poesia in musica» che per qualcuno non era abbastanza poesia e per altri non abbastanza musica. Eh no, lì c'era così tanto di tutto che quelle questioni proprio svanivano: e «i tempi erano cambiati», oh sì, dylanianamente, e un disco del genere andava oltre le vecchie classificazioni e colava come miele anche nelle orecchie di chi non si era mai interessato all'artista. Non a caso David Byrne, uno che con De André non ci aveva mai azzeccato, mise il disco nei suoi «Top 10» degli 80: una conferma che apprezzai, gli amici dei miei amici sono sempre nel mio cuore. Da allora De André non ha più sbagliato un disco. Ne ha fatti pochi, solo altri due, ma anche questo è un merito: curati, rifiniti, intarsiati con lo scrupolo certosino di un Peter Gabriel, con varietà di umori e stili ma sempre cercando il confronto con i tempi e distillando con l'aiuto dei collaboratori (ieri Mauro Pagani, oggi Piero Milesi) una sua «world music» real-onirica dove tutto confluisce e si tramuta, il passato e il futuro, canzone popolare e latino-americana, lo spirito anarchico, Villon e la passione per le radici liguri e sarde. Anche gli spettacoli non hanno mai tradito le attese, pur se l'ultimo dei mesi scorsi. volendo, un difetto ce l'aveva. Forse per rassicurare il pubblico smanioso, c'era il disco ultimo, «Anime salve», subito all'inizio pari pari, e poi il resto a parte, staccato. Sarebbe stato invece più bello un continuum, un tessuto a incroci di passato e presente un po' com'era stato nei tour preceden- ti: per dire che, nonostante tutto, c'è una forte continuità nel tempo e nelle canzoni e per non offrire agli appassionati in platea solo un fascinoso Jukebox ma un mondo intero, magico, in cui felicemente perdersi per un paio d'ore. Riccardo Bertoncelli Fabrizio De André Il mondo magico