ANTROPOFAGI DEL PASSATO

ANTROPOFAGI DEL PASSATO ANTROPOFAGI DEL PASSATO Immagini simbolo dello storico SENTIMENTI DEL PASSATO La dimensione esistenziale del lavoro storico A. Tarpino La Nuova Italia pp. 336 L. 35.000 HE cosa significa, nella cultura moderna, occuparsi professionalmente del passato? Il libro di Antonella Tarpino, Sentimenti del passato. La dimensione esistenziale del lavoro storico, suggerisce che la risposta a questo interrogativo è drasticamente mutata nel corso dell'ultimo secolo. Nell'Ottocento positivista c'era un che di sepolcrale nell'atteggiamento dello storico, non a caso accusato dal vitalismo nietzscheano di disseccare ogni alito vitale nella materia studiata, riducendo tutto ciò che toccava a morta polvere. La Tarpino mostra come questa immagine, o quest'incubo, dello storico-vampiro si sia incarnata nella letteratura ottocentesca in una moltitudine di personaggi aridi e soffocanti: sono storici di mestiere, significativamente, lo spettrale mr. Casaubon, marito di Dorothea in Middlemarch di George Eliot, e Jòrgen Tesman, il marito-carceriere dell'ibseniana Hedda Gabler. Questa concezione mortuaria della storiografia era destinata a perdurare nella letteratura ben al di là del secolo positivista: il professor Cornelius, protagonista del racconto di Thomas Mann Disordine e dolore precoce, è ancora tristemente persuaso che i suoi colleghi, amando il passato e le cose morte, odiano e di- sprezzano il presente e le cose vive; e non sarà mi caso se perfino il protagonista della Nausea sartriana fa lo storico di mestiere. Eppure, nel frattempo gli storici avevano rivoluzionato il proprio rapporto col passato, attraverso esperienze fondanti come quella della rivista parigina Annales; e la Tarpino cataloga gli effetti di questa rivoluzione attraverso un'originale sequenza di immagini-simbolo. Così, Marc Bloch sostituisce allo storico-vampiro lo storico-cerusico, capace di dissezionare i cadaveri: il passato è ancora morto, ma con quel defunto ormai è necessario interagire, e addirittura sollecitarlo a rivelarci i suoi segreti, impiegando le tecniche sapienti dell'autopsia. Con Lévi-Strauss, e la scoperta dell'intrinseca diversità del passato, lo storico si fa cacciatore, bracconiere o detective, sempre sulla pista di quegli indizi che possono permettergli di catturare una preda sfuggente e inafferrabile; oppure si trasforma in sciamano, intento non più a operare di bisturi sul cadavere del passato, ma a riportarlo in vita con la forza dei suoi incantesimi. All'orizzonte del prossimo futuro si affaccia infine 10 storico-antropofago, che divora 11 passato in un gioco intellettuale puramente autoreferenziale, con cui supplire al vuoto del presente. A dire il vero, queste figure che secondo l'autrice hanno spodestato il vecchio storico-vampiro risultano ancor sempre piuttosto sepolcrali. Ma dopo tutto, un che di macabro non s'annida perfino nel celebre aforisma di Marc Bloch, per cui «lo storico è come l'orco della fiaba: dove fiuta carne umana, là sa che è la sua preda»? Più inquietante è il dubbio che la nuova, esaltante dimensione esistenziale del mestiere di storico non sia così nota al grande pubblico come l'analisi della Tarpino potrebbe lasciar credere. Non sarà un caso, dopo tutto, se perfino scrittori che dovrebbero incarnare al grado più alto la coscienza del Novecento, come Mann o Sartre, hanno continuato a riproporre un'immagine arida e mortuaria del lavoro storiografico, ignorando la stagione intensamente vitale attraversata dalla storiografia europea in quei medesimi anni. In altre parole, affiora il sospetto che per l'uomo della strada fare lo storico sia tuttora un mestiere arido e polveroso, del tutto privo di contatto con la vita. Anche se avesse sposato Marc Bloch o Jacques Le Goff, Hedda Gabler si sarebbe probabilmente lamentata lo stesso («Dovrebbe provare lei! Sentir parlare di storia della civiltà dall'alba al tramonto... E l'industria domestica nel medioevo! Quella poi era il mio incubo»). Il cinema d'oggi, del restò", tésTunònia la vitalità degli stereotipi tradizionali. Nel suo film II declino dell'impero americano su cui aleggia, non a caso, lo spettro mortifero dell'Aids, il regista canadese Denys Arcand attribuisce a uno dei protagonisti, medievista di professione, l'esperienza grottesca d'incontrare una delle sue studentesse al lavoro in una casa di appuntamenti, e di raggiungere l'orgasmo più indimenticabile della sua vita quando la ragazza, massaggiandolo, si mette a parlargli di Tommaso d'Aquino: quasi che per lo storico fosse impossibile godere la vita vera se non attraverso il filtro del passato. Quel professore di Montreal, o forse l'ineffabile professor Jones senior interpretato da Sean Connery in Indiana Jones e l'ultima crociata, sono oggi i riferimenti cui bisognerebbe paragonare l'immagine dello storico nel romanzo e nel teatro borghese di fine Ottocento. Dispiace un pochino non ritrovarli fra gli innumerevoli rimandi culturali, tutti rigorosamente à la page, intorno a cui si strutturano le pagine della Tarpino: «scrive Hannah Arendt», «avverte Remo Bodei», «parafrasando Clifford Geertz», «come annotava Lernet-Holenia», «come afferma Jacques Revel», «per riprendere Febvre», «per usare le parole di Simiand», «per citare Ernesto De Martino», e così via, in un vertiginoso name-dropping intellettuale che lascia sospettare alla fin fine una punta di snobismo. Sospetto cui può forse dare adito anche la scrittura della Tarpino, così ambiziosa da risultare frequentemente opaca («nell'afferire ai dislivelli in conflitto della temporalità, i sentimenti del passato incrociano trasversalmente la sfera esuberante della memoria»): sicché il lavoro dello storico in questo estremo scorcio del Novecento rischia di apparire al lettore ancor più complicato di quanto in realtà non sia. Alessandro Barbero SENTIMENTI DEL PASSATO La dimensione esistenziale del lavoro storico A. Tarpino La Nuova Italia pp. 336 L. 35.000

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