La vera Beatrice? Si chiamava Piccarda di Giorgio Calcagno

La vera Beatrice? Si chiamava Piccarda Un'italianista scopre in un passo della «Vita Nuova» l'identità segreta della donna amata da Dante La vera Beatrice? Si chiamava Piccarda Era sorella dell'amico Forese Donati IN guardia, professori di liceo. E voi compilatori di manuali, studenti che vi preparate alla maturità, politici che cercate di infiorettare i calepini delle vostre citazioni. La donna che tanto gentile, tanto onesta pare quando altrui saluta non è Beatrice. E quella che manda Virgilio a salvare Dante nella selva oscura? Nemmeno. E quella che lo aiuta a «trasumanar» perché possa salire al Paradiso? Neppure. Ma se Dante la chiama Beatrice, la nomina fin dalle prime righe della Vita Nuova, la trasfigura nella Commedia, soggiogato da «quella reverenza per Be e per ice...» eh eh, troppo facile. Tutti abbiamo sempre creduto che la donna simboleggiante la Grazia fosse la figlia di Folco Portinari, Bice, conosciuta dal giovane Alighieri quando lui aveva 9 anni e lei 8, morta a 24, pianta dal poeta tutta la vita in terra e inseguita con il sacrato poema in cielo. Pietro Alighieri ci aveva lasciato una precisa testimonianza sulla donna amata dal padre, «nata de domo civium florentinorum qui dicuntur Portinarii» (nata dalla casa dei Portinari). E soprattutto Giovanni Boccaccio, nel successivo Trattatello in laude di Dante aveva raccolto una serie di informazioni che ci parevano inoppugnabili. Non è vero niente. 0 almeno così sembra dal saggio di una giovane, ma sperimentata ricercatrice, Daria De Vita, che apparirà su Belfagor, preannunciato da Mirella Appiotti su Tuttolibri. La studiosa, partita proprio dal Boccaccio, rileva subito alcune contraddizioni fra le notizie che egli dà nel Trattatello e quelle che lo stes¬ so Dante aveva seminato nella Vita Nuova. Si chiede se davvero la Beatrice dantesca possa coincidere con Bice Portinari e risponde di no: anche esaminando la progressiva sublimazione del personaggio, attraverso il Convivio e la Commedia. Dante la chiama Beatrice, con uno dei suoi giochi nominalistici, perché la funzione della donna è beatifica; non ne rivela l'identità, che è un'altra. Come aveva inventato una donna dello schermo, per deviare le curiosità indebite, il poeta inventa un nome dello schermo, per nascondere l'oggetto del suo amore; e lo prende da una persona reale, per ingannare meglio i contemporanei. Ma esiste, la donna chiamata Beatrice? Certo che esiste, sostiene la De Vita, non è una astrazione allegorica della virtù, come qualcuno ha pensato. E il personaggio vero sarebbe nascosto in un passo della Vita Nuova, dove si parla della «gloriosa» e di un suo strettissimo congiunto, «lo quale secondo li gradi de l'amistade è amico a me immediatamente dopo lo primo». Se il primo amico è Guido Cavalcanti, ragiona la studiosa, il primo dopo il primo è Forese Donati; e la persona a lui più vicina per vincoli di sangue è Piccarda, «la mia sorella che tra bella e buona non so qual fosse più», come dice il fratello nel Purgatorio. Tanto bella e buona che Dante non ha esitazione a collocarla nel Paradiso. E' una ipotesi credibile? Alla Società Dantesca di Firenze non si vogliono pronunciare, finché non sarà apparso il saggio. Ci rinviano al loro Quaderno Omaggio a Beatrice, pubbli- cato lo scorso settembre dalla editrice «Le Lettere», che sostiene tesi praticamente opposte. Domenico De Robertis scrive di una donna «perentoriamente identificata dalla declinazione del proprio nome: "ben son, ben son Beatrice"». E Francesco Mazzoni riconosce persuasiva la «realtà storicopoetica del personaggio»; anche se, ammette, «meno importa la certezza che i dati anagrafici corrispondano ad unguem alla figlia di Folco Portinari». Assai diversa l'opinione di Giorgio Bàrberi Squarotti, che il testo della De Vita lo ha potuto leggere, e in buona parte lo condivide: «Costruito bene, con osservazioni acute». Anche perché alla identificazione di Beatrice con la Portinari lui non ha creduto mai. «L'ho scritto, molti anni fa, in una prefazione alla Vita nuova. E non sono stato neppure il primo». Lo studioso di Dante non se la prende con Boccaccio, che ha scritto un bel romanzo biografico, com'era nel suo stile, soprattutto con il valore di exemplum, di lezione per gli altri. Se la prende con quanti gli hanno creduto, inventando una tradizione. «L'errore è stato nella laicizzazione della Commedia. Dal '500 in poi, soprattutto con l'idealismo, si è dimenticato che è un poema religioso, e si è andati a cercare il personaggio nella vita, con una incomprensione radicale». Beatrice, secondo Bàrberi, è un «segnale», come la Laura del Petrarca, che non corrisponde affatto alla Laura de Sade, di cui si favoleggia. «Per il poeta del '300 era impensabile che il nome vero della donna amata fosse messo in pubblico. Era una norma rigorosissima». Ma è possibile che il Boccaccio abbia tanto falsato i dati? Vittore Branca, che ha passato la vita a studiare l'autore del Decameron, lo difende. «Ci andrei piano a mettere in dubbio la sua testimonianza». E difende la validità storica del Tratta¬ tello: «Perché la matrigna del Boccaccio era imparentata con i Portinari, perché Boccaccio viveva in Firenze vent'anni dopo la morte di Dante. E perché per Dante aveva una venerazione. E' fonte accreditatissima». Branca riconosce, nel formarsi della figura di Beatrice, la tradizione agiografica di quell'età, il desiderio che Dante aveva di beatificarla. «E Boccaccio può avere idealizzato; non deformato o falsificato. Ma è difficile dire una parola definitiva su questo tema». Attende anch'egli di leggere, prima di giudicare. Giorgio Calcagno La fanciulla è esistita realmente. E non era Bice Portinari, come si è sempre pensato seguendo la falsa indicazione del Boccaccio Dante Alighieri; a destra, Beatrice in Paradiso in un'incisione del Dorè

Luoghi citati: Firenze