Genet, criminale immaginario di Sergio Trombetta
Genet, criminale immaginario Parla il biografo Edmund White, che ha ricostruito la vita dello scrittore negli archivi della polizia Genet, criminale immaginario «Preferì passare per delinquente che suscitare pietà nei borghesi» H KEYWEST A rubato tm libro, ha falsificato qualche biglietto del treno, si è impadronito di un autografo di France¬ sco I, ha portato via delle stoffe da un grande magazzino. E basta. Dalla fedina penale di Jean Genet non risulta molto di più». Ma come, proprio lui, il poeta e ladro, il romanziere e vagabondo, che celebrava sesso gay, delitto, tradimento, non ha fatto niente di più? «Esattamente - conferma Edmund White - tutto il resto è leggenda, un'aura da scrittore maledetto che si era costruito lui». Sembra strano, ma se lo sostiene White c'è da credergli. Perché il romanziere e saggista americano, ha speso sette anni della sua vita sulle tracce deU'autore di Notre dame des fleurs e delle Serve, ha passato alla lente di mgrandimento ogni documento e scritto, intervistato amici, parenti. White ha addirittura fatto in tempo a incontrare la centenaria madrina di battesimo dell'ultimo irregolare della letteratura francese, dell'omosessuale scandaloso e sovversivo amato ed esaltato come simbolo del sottoproletario che si riscatta dai grandi intellettuali francesi del dopoguerra. Da queste pluriennali ricerche White è emerso con una monumentale biografia, intitolata Ladro di stile. Le diverse vite di Jean Genet che, uscita nel '93 in America, compare ora in italiano dal Saggiatore e sarà in libreria il 3 febbraio. Aggiustamenti biografici a parte, dal libro esce intatta la grandezza artistica di Genet: «Ormai un classico - conferma White uno dei massimi autori del '900. Negli Anni 40 e 50 uno scrittore omosessuale aveva tre possibili figure in cui identificarsi: il peccatore, il criminale, il malato di mente. Molti scrittori borghesi avevano scelto quest'ultima metafora di se stessi per ispirare nel pubblico compatimento e simpatia. Genet no. Lui aveva deciso di passare per peccatore e crumnale. Una scelta antiborghese. La sua posizione è stata molto chiara sin dall'inizio: ammirevole». White ha cinquantasette anni, è autore di saggi come Stati del desiderio (edito da Zoe) sull'America gay degli Anni 70 e romanzi come La bella stanza è vuota (Einaudi). Attivista omosessuale e raffinatissimo prosatore, ammirato da Nabokov, paragonato in America a Proust o Henry James, si è innamorato di Genet negli Anni 60: «Allora in America face¬ va scandalo il suo teatro. Da sempre pensavo che qualcuno dovesse scrivere una biografia di Genet. A parte il libro di Sartre, San Genet, commediante e martire, non c'era quasi nulla. Quando me l'hanno proposto ho accettato e mi sono preso tre anni di tempo. Ce ne sono voluti sette. Sino ad allora conoscevo soltanto Parigi. Adesso ho dimestichezza con la Francia profonda della provincia, il sistema carcerario, l'organizzazione delle caserme». L'esperienza francese di White finisce, oltreché con questa biografia, con la morte per Aids dell'amante francese di White, Hubert Sorin, che fa in tempo tuttavia a realizzare i disegni del libro realizzato a quattro mani, Our Paris. Ora White insegna scrittura creativa all'Università di Princeton, passa le vacanze in Florida a Key West e ha appena pubblicato un romanzo The Farewell Symphony (La sinfonia degli addii) che è ha suscitato un infuocato dibattito nella comunità gay americana. «I neoconservatori gay come Michelangelo Signorile o Larry Kramer mi accusano di incitare alla promiscuità sessuale e di spingere, implicitamente alla diffusione dell'Aids. Io mi sono soltanto limitato a descrivere lo stile di vita sessuale libero degli Anni 70». Aids e letteratura è un tema su cui White si è trovato invece in disaccordo con un altro scrittore, David Leavitt. Dalle pagine della rivista Advocate Leavitt ha accusato l'establishment letterario gay, e implicitamente White, di accogliere favorevolmente libri brutti o banali soltanto perché parlano di Aids. «Mi sembra crudele dire che ha scritto un brutto libro a una persona che sta morendo di Aids - ribatte White -. Quando però David pone l'accento sul pericolo di abbassare il li- vello qualitativo della scrittura mi trova d'accordo». Ma uno scrittore sieropositivo che intitola La sinfonia degli addii il proprio romanzo non andrà volutamente alla ricerca del patetico? «No - risponde White - ho chiamato il romanzo come la sinfonia di Haydn, dove poco per volta i musicisti spengono la candela davanti al leggio e se ne vanno, perché mi sentivo l'ultimo sopravvissuto di una generazione passata in grado di raccontare un mondo che non c'è più. E poi nella sinfonia di Haydn non se ne vanno tutti. Alla fine un violinista resta in scena». Sergio Trombetta «Negli Anni 50 un gay era considerato peccatore, pazzo o fuorilegge» «Voleva essere un maledetto, ma rubò solo un libro e qualche stoffa»
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