Le lacrime provano lo stupro
Le lacrime provano lo stupro Sentenza della Cassazione, che ha confermato la condanna a un tecnico cardiologo per atti di libidine Le lacrime provano lo stupro «Dimostrano che la vittima è sincera» ROMA. Le lacrime di una donna violentata possono diventare l'elemento che convince un giudice a condannare. Lo stato emotivo, registrato a caldo da testimoni, è idoneo «a garantire la sincerità delle dichiarazioni della parte offesa». Una sentenza della Corte di Cassazione, terza sezione penale, ha fissato il principio che uno choc emotivo, se non una prova, ha quantomeno un valore significativo. La Cassazione ha così respinto il ricorso di un tecnico cardiologo calabrese, confermando per l'uomo una pena a 18 mesi di reclusione e l'interdizione dai pubblici uffici. I fatti, risalenti al 1992, in provincia di Catanzaro. L'uomo è stato accusato di aver commesso atti di libidine violenta ai danni di una giovane allieva ostetrica dell'ospedale dove entrambi lavoravano. Approfittando di una visita cardiologica, mentre la ragazza era sottoposta a elettrocardiogramma, il tecnico prima l'ha fatta spogliare con le maniere più professionali possibili. Quindi le è balzato addosso, come scrivono i magistrati, toccandola «con violenza nelle parti più intime del corpo». Nessun altro era presente nella stanza. Classica situazione in cui c'è la parola di lei contro quella di lui. E su questo puntava la difesa dell'uomo, nel contestare in Cassazione la sentenza, perché «preteso riscontro della credibilità delle donna (era) il fatto che ella aveva raccontato l'episodio piangendo a un medico e a un infermiere». Uscendo dal gabinetto cardiologico in lacrime, infatti, la ragazza aveva incontrato in corridoio un medico, un infermiere e il direttore sanitario. Con loro si era sfogata. Dice ora la Cassazione che le «manifestazioni emotive (crisi di pianto e tremito delle mani) occorse alla donna nel narrare l'inatteso e sconvolgente episodio di cui era stata vittima, vanno correttamente va- C'era sla pdella va sostil tendi vio soltanto arola vittima tenere ntativo olenza lutate come idonee a garantire la sincerità della parte offesa». Non che le lacrime della donna siano considerate dalla Cassazione come una prova. Bensì come «elemento ulteriore» che, aggiunto a un racconto «coerente e preciso», sorretto da «precisi dettagli», porta i giudici a concludere che la versione della ragazza è «credibile». Non credibile così è la difesa dell'uomo. E di qui la condanna. Sentenza rilevante? «Non direi sostiene l'avvocatessa Grazia Volo, legale di Cesare Previti - perché evidentemente già la corte d'appello aveva valutato nel merito. La difesa avrà contestato che non c'era la prova. Ora la Cassazione stabilisce che bisogna valutare la reazione della parte offesa. Ma già in altri casi s'è fatto. Si tratta di vedere se l'emotività sia genuina. Le lacrime non sono affatto una prova. Semmai è il comportamento nel suo complesso che viene valutato. Ma questo è un iter ordinario. Se una persona generalmente stimata sul posto di lavoro, non instabile di carattere, improvvisamente si mette a piangere o ad urlare, che cosa devono dedurre i colleghi di lavoro? Che qualcosa di traumatico dev'essere successo. Ma questa, ripeto, è ordinaria valutazione della personalità della parte offesa. Anche in epoche successive, nelle vittime, spesso il ripercorrere i fatti porta a rivisitazioni emotive. Ma non è solo il pianto il sintomo della credibilità». E dice un'altra avvocatessa, Anna Maria Seganti, che collabora con Telefono rosa: «Nelle vittime di violenza, lo choc emotivo è un fatto abbastanza scontato. Uno choc emotivo che molte si trascinano dietro a lungo. Ovviamente colpisce nella fase del giudizio, il vedere come la persona ha reagito al trauma. Ma certo non è così semplice. Non basta uno sfogo di pianto per ottenere una condanna», [fra. gri.] C'era soltanto la parola della vittima a sostenere il tentativo di violenza
Persone citate: Anna Maria Seganti, Cesare Previti, Grazia Volo
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