IL CORTO CIRCUITO IRRISOLTO di Sergio Romano
IL CORTO CIRCUITO IRRISOLTO IL CORTO CIRCUITO IRRISOLTO SONO passati quasi sei anni da quando un giovane sostituto procuratore di Milano prese «con le mani nel sacco» il presidente del Pio Albergo Trivulzio e dette il via all'operazione Mani pulite. Ma i problemi della giustizia e i rapporti dell'ordine giudiziario con la classe politica restano la maggiore questione irrisolta della nostra crisi costituzionale. La giornata di ieri ce ne ha dato due conferme. A Verona un procuratore della Repubblica ha chiesto il rinvio a giudizio di Umberto Bossi per atti di sovversione contro l'unità dello Stato. A Roma, in occasione di un congresso dell'Associazione nazionale magistrati, il Presidente della Repubblica ha detto di approvare «interamente» il discorso con cui un magistrato, Elena Paciotti, ha fortemente criticato le proposte della Commissione bicamerale in materia di giustizia. I due fenomeni sono completamente diversi, ma risalgono a uno stesso disagio. Per una serie di fattori - corruzione, criminalità organizzata, crisi del regime e dello Stato - la frontiera tra politica e giustizia è andata progressivamente scomparendo. E ogni qualvolta una parte della classe politica cerca di piantare nuovamente i paletti del confine, qualcuno le rende il lavoro impossibile. Cominciamo da Verona. Poteva il procuratore Papalia agire diversamente? Poteva esimersi dall'appìicare gli articoli del codice penale che Umberto Bossi ha sistematicamente violato nel corso di questi anni? In circostanze normali saremmo tutti felici di constatare che un magistrato inquirente della Repubblica ha deciso, senza guardare in faccia nessuno, di applicare la legge. Le difficoltà sorgono quando l'osservatore è costretto a constatare che la protesta di Bossi, anche se espressa in Sergio Romano CONTINUA A PAG. 2 SETTIMA COLONNA
Persone citate: Bossi, Elena Paciotti, Papalia, Umberto Bossi
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