L'interminabile Ramadan di Giakarta di Paolo Guzzanti

L'interminabile Ramadan di Giakarta L'interminabile Ramadan di Giakarta Dieci milioni di abitanti e un despota logorati dalla crisi GIAKARTA DAL NOSTRO INVIATO Seduta sul muretto del molo quasi a pelo dell'acqua una mercantessa di spiriti e filtri d'amore vende bottiglie che restituiscono vigore agli uomini, specialmente quelli con due mogli che ne hanno bisogno, verginità alle ragazze imprudenti, regolarità del ciclo alle spose che non riescono a concepire, bustine per linimenti muscolari, forza, ritorno dell'entusiasmo perduto. Le donne che vanno al mercato comperano, ma non consumano perché è ancora Ramadan e non si può bere prima del tramonto, ma discutono volentieri e senza pudore dei particolari più indiscreti della loro vita erotica. Ridono, sorridno, tutti si salutano, l'acqua è sudicia, le barche scivolano untuosamente fra bottiglie di plastica e i marinai impigriscono sulla plancia di barconi tondeggianti. Hanno sete anche loro, ma è Ramadan e santificano la festa parlando delle loro spose e fidanzate. L'amore è un tema dominante, prioritario, primordiale e trattato con festosa franchezza. Tornando dalla Cina, gli indonesiani sembrano meravigliosi: sorridono, strepitano nel traffico insultandosi e suonando il clacson, cantano come messicani. La loro capitale, Giakarta, fa francamente impressione. Una orrenda impressione: si tratta di una megalopoli di dieci milioni di individui cresciuta a Sud attraverso due faraoniche follie autoritarie: quella di sinistra di Sukarno, filomaoista deposto nel 1965, e quella destrorsa del generale Suharto che è in sella da 32 anni, un autocrate che tiene fin troppo famiglia. L'Indonesia è infatti una democrazia autoritaria, se non proprio una dittatura. Ma è anche il quarto Paese del mondo per popolazione dopo Cina, India e Stati Uniti, nonché il più grande Stato musulmano della terra, benché non sia arabo. Ed è il Paese che più di ogni altro si è piegato sulle ginocchia msieme alla sua rupia, la moneta indonesiana, che è cominciata a precipitare all'inizio dell'anno come un ferro da stiro e ha raggiunto la penosa condizione di 17 mila rupie per un dollaro, da cui si è un poclùno risollevata. Oggi compri un dollaro con 12 mila rupie. Per capire Giakarta e questo gigantesco Paese formato da migliaia di isole con centinaia di tipologie umane, razze, lingue, tradizioni e rancori, devi andare per prima cosa nella città vecchia e olandese, la zona Nord del porto, dove navi che sembrano galeoni affondano in un mare melmoso e infetto le loro stive cariche di legnami preziosi destinati all'esportazione. Il palazzo del governo olandese ha nella fondamenta le sue prigioni antiche: forni allagati in cui i detenuti venivano legati alla palla di ferro e lasciati crepare nella fogna malarica. Sono salito su una barca con un solo remo come le gondole, e mi sono fatto portare in un groviglio di vicoli acquosi, di ponti di legno, casupole e capanne a mollo. Le bambine portano un copricapo islamico grazioso e le adolescenti mostrano il loro desiderio di maternità portando bambolotti morbidi a tracolla, come le loro madri portano i fratelli. Qui non c'è divieto di figliare, salvo raccomandazioni governative e caricature mostruose dei padri di troppi figli, sotto forma di fantocci. E si nota, malgrado l'Islam, una evidente libertà sessuale: millenni di cultura indiana permissiva ed eroticamente edonistica non hanno mai potuto essere cancellati da mezzo millennio islamico. E le ragazze, spesso bellissime, vestono i casti abiti della tradizione e della religione di giorno, per poi scatenarsi di notte al Tana Mur in rninogonne da arresto. Magari con l'idea di sistemarsi con un «buie» europeo, un emigrato facoltoso australiano, o un discendente dei coloni portoghesi o olandesi. O magari con i giovanotti italiani che lavorano per le ditte nazionali e che la sera si illudono di fare conquiste effimere e succulente: si rirtrovano quasi sempre coinvolti in relazioni molto complicate e impegnative perché qui la società è tollerante con le donne che abbiano convissuto fuori del matrimonio persino con gli stranieri infedeli. I militari sono ovunque e governano la società e la città in tuta mimetica. I generali sono in genere laureati in ingegneria e svolgono le funzioni dei tecnocrati. La società civile è dominta dunque dalla società militare e l'armata è del resto a suo modo democratica: le donne sono arruolate a tutti i livelli e c'è una certa aria di modernità Anni Sessanta, frutto del terzomondismo di Sukarno e di Suharto, egualmente faraonici anche se il secondo detronizzò il primo con un golpe che si tradusse in una mibonata di morti, più che nella guerra di Spagna, di cui metà forniti dal più feroce pogrom anti-cinese. Qui i cinesi sono visti come gli ebrei in Russia, Polonia e Germania fino agli Anni Trenta, prima dello steiminio: e cioè come gente che ci sa fare gb affari, sa dirigere economia e commercio, e riesce a vivere con un tenore di vita alto anche nei periodi che per gb altri sono di magra. La guida che mi accompagna, e che è molto filogovernativa, mi spiega con tono grave che il genocidio fu se non necessario, almeno giustificato, visto che tuttora il 4 per cento della popolazione di origine cinese controlla il 40 per cento degb affari. I cinesi, sempre più prudenti, hanno imparato a integrarsi e a farsi assorbire, abbandonando la madre lingua, rinunciando alla loro religione e senza più pretendere scuole differenziate. Ma seguitano ad essere le teste pensanti degb affari e della mediazione. Quando si entra in Indonesia bisogna riempire un modulo di sbarco in cui avvertono i signo¬ ri viaggiatori che è vietato introdurre qualsiasi scritto con caratteri cinesi, e bisogna dichiare alla dogana qualsiasi prodotto cinese, considerato di per sé sospetto e anzi indesiderato. L'altr'anno ci furono delle sommosse contro la comunità cinese non appena si manifestarono le prime difficoltà economiche. E oggi la minoranza cinese sta letteralmente tremando perché i primi segni di carestia, l'accaparramento, il crollo della borsa, l'inflazione scatenata, la chiusura dei posti di lavoro, hanno già alimentato la voce secondo cui i cinesi sono ancora una volta gli untori, i profittatori, gb affamatori del popolo. Qua e là sono stati assaltati i loro negozi, distrutte alcune officine e nella provincia i commercianti hanno imparato ad esporre nella vetrina un cartello che dice: «Sono un buon musulmano come voi». Il governo del generale Suharto li protegge come può, dal momento che il Presidente è in strette relazioni d'affetto con la comunità cinese, che i suoi intraprendenti figlioli trasformano in affari e denari sonanti. L'intraprendenza dei ragazzi Suharto è certamente una delle cause del crollo di questo Paese, ma da que¬ st'orecchio il generale come è noto non ci vuole sentire e anzi ha benignamente, ma molto benignamente e con un atteggiamento di annoiata condiscendenza, concesso la sua svenata e sospirosa disponibibtà alla richiesta petulante, insistente, tutto sommato sincera di una casta di potere che lo ha imporato di fare esattamente ciò che il Fondo Monetario Internazionale lo aveva supplicato di non fare. E cioè ricandidarsi a sicura elezione, che avverrà a marzo da parte di un Parlamento di un migliaio di deputati di cui meno della metà sono eletti localmente, 75 sono nominati dall'Abrì, cioè dalle forze armate che tutto controllano e dispongono, e mezzo migbaio sono rappresentanti di enti locali di nomina governativa e dunque tutti grandi elettori fatti in casa che rispondono al partito unico, ai giornali unici, alla televisione unica. L'unica battagUa che lascia un margine all'incertezza e alla passione, chiamiamola così, politica, sarà la scelta del vicepresidente, visto che il presidente ha 77 anni e potrebbe non reggere un intero nuovo settennato. Il generale ha assunto un aspetto serafico, moderato, Uevemente divino, e si rifiuta di capire che il Fondo Monetario non presta i soldi a van¬ vera, ma' esige^ chiarezza, durezza, patti chiari e amicizia da rivedere alla prossima rata. Tant'è vero che, dopo aver presentato un budget assolutamente ridicolo dopo la concessione del prestito, ha dovuto adattarsi a fame studiare uno nuovo e più realistico che è stato presentato ufficialmente come una marcia indietro dal precedente il 23 gennaio. Insomma l'Indonesia è ancora in pieno terzomondismo autoritario senza prospettive di ricambio, tant'è che l'archiettura risente violentemente di quel clima di fobia megalomane che seguì la decolonizzazione e navigò a cavallo fra maoismo cinese, terza posizione e infine scelta occidentale con privilegio di bancarotta, paternalismo, sviluppo nepotistico, che comunque hanno prodotto risultati discreti e spesso ottimi, fino al momento della resa dei conti che è arrivata proprio in queste settimane. Entrambi gb autocrati, per non dire dittatori, sono rimasti disgraziatamente affascina ti da architetti sovietici megalomani e da altri edificatori orientali ed eu ropei che hanno dato alla parte nuo va della città di Giakarta un'impronta fascio-hitleriano-sovieticoperonista-assiro-babilonese, che si riassume nell'atroce obelisco mostruoso e gigaj. ìco (dal popolo chiamato «l'ultima erezione di Su karno») sulla cui fiamma di vetta so no stati versati ben trentacinque chili d'oro che potevano certamente essere spesi meglio, sempre ammes so che siano veramente finiti lassù e che la fiamma non sia una patacca Paolo Guzzanti LE TIGRI FERITE REPORTAGE5

Persone citate: Suharto, Sukarno