«Non accetteremo altre trappole» di Massimo Giannini

«Non accetteremo altre trappole» «Non accetteremo altre trappole» Micheli: sulle 35 ore legge in tempi stretti QUILL'ORO BOCCIATO E ROMA CCOLI, gli italiani "veri", i moderati che fanno l'interesse del Paese...». Davanti a una fumante tazza di tè, Enrico Micheli sfoglia i giornali e scorre come i grani del rosario le «sparate» dei polisti. Dottore che c'è che non va? «Legga qui», esordisce il braccio destro di Prodi alla Presidenza del Consiglio. E squaderna le dichiarazioni dei Martino e dei Marzano, che giudicano l'operazione UicBankitalia sull'oro «uno scandalo peggiore del sexy-gate», e strillano «il governo si deve dimettere». «Ci sarebbe da prenderli in parola: ci spiegassero loro, le strategie per l'Europa. Anzi no, non dovrebbero spiegare nulla. Quando hanno governato avevano già detto tutto: in Europa non ci si va, punto e basta». Immaginare il Richelieu di Palazzo Chigi rancoroso o adirato è quasi impossibile. Ma se Micheli si sfoga così, dopo l'incidente dell'oro di Bankitalia con Bruxelles, può voler dire due cose: o che muscoli e nervi del governo, a pochi passi da Maastricht, sono tesi e vicini al punto di rottura. 0 che questa Destra allo sbando, senza idee e identità, pratica ormai solo un gioco, quello al massacro. Micheli non ha dubbi: col Guzzanti del Pippo Kennedy Show ripete «la seconda che hai detto». Eppure fa male, questa bocciatura di Eurostat... <(Anche lei usa termini impropri: quale bocciatura? Con l'Ue non c'è alcun problema». Non finisce la frase, e già trilla il telefono. «Ciao Romano...». E' Prodi, che da Bruxelles conferma: il clima è eccellente, De Silguy, Santer, tutti riconoscono l'importanza dei nostri risultati. «Che le avevo detto?», chiosa il sottosegretario. Perché più si avvicina il traguardo, più cresce in Europa l'insofferenza per noi? «E' il provincialismo, di certa politica e di certa stampa». I soliti giornali, non mi dica! Anche lei, come D'Alema? «Senta, l'Italia è un grande Paese, per storia e cultura, un Paese che ha compiuto progressi straordinari, economici e anche politici. E' un Paese che ha abbattuto il suo deficit, ha una bilancia dei pagamenti da record, è un grande mercato da 50 milioni di consumatori, dove gli investitori esteri fanno affari, prospera un tessuto di piccole imprese che ci è invidiato nel mondo. E' un Paese che ha un alto debito, ma è pari a quello del Belgio rispetto al Pil. E cala, a differenza di quello dei tedeschi, che invece cresce». Dove vuole arrivare? «Alla seguente conclusione: non capisco perché in un Paese del genere, che ha fatto questa rincorsa incredibile ed è sul filo di lana, si fibrilla per le dichiarazioni dell'ultimo arrivato, o di qualche comprimario, solo perche parlano male di noi». Questo Gerritt Zalm non vi è andato proprio giù, eh? «Mi dica lei: perché il governo italiano dovrebbe tremare, per le presunte voci attribuite a un ministro olandese?». Perché, se sono anche tedesche, tradiscono un pregiudizio sull'ingresso dell'Italia nell'euro. Non le pare? «Non sto dietro alle voci, ma ai fatti. I fatti sono scritti nei nostri documenti, nel piano di convergenza approvato a Bruxelles con il riconoscimento della strutturalità delle riforme varate, dal Fisco al Welfare. I fatti sono i mercati che ci danno fiducia, e le lodi sperticate di giornali come Financial Times, Wall Street Journal, Herald Tribune, Le Monde». Qualcuno userà contro di noi questo incidente sull'oro. «La decisione di Eurostat è discutibile: un organismo statistico che interferisce su aspetti giuridici, mah... Comunque il risultato del deficit sotto il 3% è ormai acquisi¬ to. E ora, per favore, guardiamo a certe operazioni fatte in altri Paesi!». Non dobbiamo aspettarci altre trappole? «Non credo. E se ci saranno le respingeremo: l'Italia non è disposta ad accettare sottovalutazioni del suo ruolo in Europa. Conosciamo i nostri limiti, sappiamo che alle nostre spalle c'è un passato di errori e di pecche. Ma appunto: è il passato». La visita di Kohl a Roma è servita a qualcosa o no? «Per quanto mi sforzi di ricordare possibili attriti con il Cancelliere, non ne trovo in quel vertice italotedesco. Poi è chiaro, né Kohl né Prodi dovevano scambiarsi pagelle. Ma mi ha colpito l'ottimo feeling tra i due, politico e caratteriale». Non penso che basti, a farci entrare in Europa: il risanamento deve essere «sostenibile» negli anni. «Certo che non basta. Come non basterà il poter dire, a maggio, siamo entrati nell'euro. Fatto questo sforzo straordinario in così poco tempo, ci aspetta il lavoro duro, giorno dopo giorno, per consolidare i risultati. Ma che il risanamento non sia effimero lo dicono già i documenti che abbiamo sottoposto a Bruxelles, sulla riduzione del debito e la stabilizzazione della spesa previdenziale». Sono proprio queste le incognite maggiori, in realtà. «Non è così. Le incognite maggiori non pesano più su di noi, ma semmai su altri Paesi. Noi le cose che ci avevano chiesto le abbiamo fatte, e oggi possiamo guardare dritto negli occhi i nostri partner, senza complessi. Alle nostre spalle c'erano due voragini che sembravano incolmabili, il deficit e il debito. Invece il primo si è colmato, ora abbiamo un avanzo primario che supera il 5% del Pil, e il secondo si colmerà negli anni, grazie al dividendo di Maastricht sui tassi e al mantenimento di quell'avanzo». Per mantenere questo avanzo servono manovre ancora pesanti, di qui al 2010. E già si levano voci: basta sacrifici, torniamo a spendere. «Continueremo ad essere rigorosi, anche se dovremo trovare lo spazio per rilanciare gli investimenti, soprattutto quelli in infrastrutture, che non sono più rinviabili per modernizzare questo Paese». E come manterrete la promessa di ridurre le tasse? «Intanto, prima della promessa, farei una premessa: la riforma del ministro delle Finanze Visco, l'Irap e la Dit, insieme a quella del commercio di Bersani, rappresentano due fiori all'occhiello di questo "governo delle riforme". Ce ne ha dato atto la Commissione Ue: ora il nuovo Fisco è più equo, non massacra nessuno, non soffoca le imprese. Lo voglio ricordare, perché contro questa riforma la Destra ha organizzato clamorose proteste, e i commercianti hanno fatto i tax day)). Onorerete l'impegno o no? «Visco lo ha annunciato, e io non posso che confermarlo». Avete anche annunciato l'infausta legge sulle 35 ore, e siete all'impasse. Come convincerete la Confìndustria? «Non c'è impasse, il disegno di legge bisogna farlo in fretta, perché questa questione non può restare appesa a lungo. Con la Confindustria in questi mesi il rapporto è stato ondeggiante, a volte aspro e polemico. Certe incomprensioni si potevano evitare, da parte loro, con un po' più di riflessione». Lo ammetta: oggi, con l'Europa in tasca, vi gustate la rivincita verso gli industriali? «No, nessuna rivincita. Anche se, ripensando a certe accuse, e guardando ai risultati di oggi, sull'inflazione, il calo dei tassi che ha compensato gli effetti sull'export del rientro della lira nello Sme, gli incentivi alle aziende, l'alto tasso di riformismo che abbiamo inoculato nel sangue vivo del Paese, beh, qualche loro autocritica non guasterebbe. Comunque, ora la Confìndustria deve capire che non si può arrivare, dall'oggi al domani, alla Città del Sole. La politica non è l'applicazione del trattato militare di Von Clausewitz, né la traduzione in volgare del Principe di Machiavelli. E' arte del possibile, mediazione: è realpolitik)). Che vuol dire tutto questo, tradotto sulle 35 ore? «Abbiamo dovuto risolvere una crisi di governo: ci siamo riusciti convincendo Rifondazione a fare l'ultimo, indispensabile tratto di strada per l'Europa. In cambio ci siamo impegnati a fare questa legge. Per me i patti vanno rispettati, quindi la legge si farà: ma il famoso accordo con Bertinotti va letto per quel che è, senza strumentalizzazioni. C'è una clausola che salva la concertazione, e la garanzia che la legge non nuoce alle imprese e non ingessa l'economia. Se si discute in questo modo, con spirito laico e cultura del dubbio, l'accordo con gli industriali si trova. Dipende solo da loro». Da loro? Da voi, più che altro: ancora non c'è una proposta del governo, o sbaglio? «La faremo, e in tempi rapidi: ma non mi si venga a dire che se nasce la legge sulle 35 ore muore la concertazione. E' mi alibi! Il governo non rinuncerà mai alla concertazione, e lo sappiamo bene a Palazzo Chigi, dove abbiamo concertato il patto sul lavoro, il contratto dei metalmeccanici, gli esuberi nelle banche, la riforma del Welfare. Concertiamo anche la legge sull'orario: si può fare, purché si rinunci all'ideologia». Curioso che lo chieda alla Confìndustria: la legge, in realtà, la dovete fare in ossequio ad un'altra ideologia, quella di Rifondazione, no? «Ma alla luce dei risultati eccezionali che abbiamo raggiunto, c'è ancora chi teme l'influsso "malefico" di Rifondazione sul governo? Via, le cose vanno bene. Nel bradisismo della politica italiana il rafforzamento dei partiti è fondamentale per valorizzare l'Ulivo. E con Bertinotti ora c'è un interesse obiettivo, a proseguire questa esperienza di governo, di stabilità. Ma non è semplice farlo capire a tutti, sa?». Che significa? «Che la stabilità politica è un valore, ma non tutti l'apprezzano. Quando viene vissuta come noia, quando per l'opposizione un governo che dura più di sette mesi diventa un "regime", allora mi chiedo: e se durasse 17 anni come la Thatcher cosa direbbero, che è una dittatura?». Comunque avete cambiato orizzonte, adesso lavorate per la legislatura, giusto? «Sa, è difficile per un provinciale della politica come me, districarsi in questa bailamme della politica...». Non si sottovaluti così, dottor Micheli. Durerete o no? «Non sono un profeta. Ma se penso agli interessi del Paese, dico che questa stabilità sta dando i suoi frutti. E convengono a tutti, non solo agli mquilini di Palazzo Chigi». Massimo Giannini «Gli economisti della destra sono falsi difensori del Paese» ta Confìndustria per certi attacchi deve fare un po' di autocritica» «La politica non è l'applicazione del trattato militare di Clausewitz» Enrico Micheli braccio destro di Prodi