Attacco imminente all'Iraq Solo Blair è con Washington di Franco Pantarelli
Attacco imminente all'Iraq Solo Blair è con Washington Attacco imminente all'Iraq Solo Blair è con Washington NEW YORK NOSTRO SERVIZIO La «standing ovation» che durante il discorso sullo stato dell'Unione ha accolto l'ammonimento lanciato da Bill Clinton contro l'Iraq è stata una specie di «via» a una mobilitazione generale di tutta l'Amministrazione. Incassato il consenso intemo (Newt Gingrich e altri repubblicani hanno chiaramente detto che su questo punto sono perfettamente allineati con Clinton e che la faccenda di Monica Lewinsky non c'entra nulla), le varie branche del governo si sono subito messe all'opera per raccogliere quello esterno. A tutte le ambasciate americane nel mondo è stato diramato l'ordine di «far presente» ai vari governi la posizione di Washington; il Segretario di Stato Madeleine Albright ha cominciato un viaggio che la porterà in Francia, hi Russia, in Gran Bretagna, in Arabia Saudita e in altri Paesi del Medio Oriente, e il Segretario alla Difesa William Cohen ha annunciato un viaggio «parallelo» a quello della Albright con l'intento di esaminare il problema sotto l'aspetto squisitamente militare. Lo stesso Bill Clinton, ieri un po' meno pressato dei giorni scorsi dal rincorrersi delle notizie sulle sue vicende sessuali, ha partecipato all'operazione, anche se ha deciso di assumersi l'incarico più facile: queìio di parlare con Tony Blair, cioè l'unico che si è apertamente schierato con Washington sin da quando la nuova storia degli ispettori dell'Onu bloccati in Iraq è scoppiata. Il nocciolo di tutta questa mobilitazione sta nel convincere Saddam Hussein che «non è più il tempo delle scuse», come ha detto la Albright in una conferenza stampa per illustrare il suo viaggio, e che se agli ispettori dell'Onu non sarà fmahnente consentito di fare il loro lavoro senza intralci di nessun tipo il passaggio alle vie di fatto, cioè alle armi, avverrà in tempi brevissimi. Si sa che su questo ci sono molte riserve da parte degli altri Paesi che contano, principalmente Russia e Francia, che non vedono l'ora di tradurre in pratica i contratti petroliferi già stipulati con l'Iraq, ma la Albright non è sembrata dare molto peso a quelle riserve. Ciò che conta, ha spiegato, è che tutti sono d'accordo sul fatto che le ispezioni devono poter essere compiute senza limitazioni di sorta. Una volta convinti che con Saddam Hussein la diplomazia non porta a nulla (e la Albright confida di poterli convincere spiattellando loro il fallimento della mediazione tentata dalla Russia), il resto verrà da solo. E tanto è convinta di questo, la signora del Dipartimento di Stato, che ha apertamente detto che l'obiettivo di questa «offensiva diplomatica» americana non è quello di ottenere un'altra Risoluzione del Consigho di Sicurezza, perché per un nuovo, eventuale intervento militare bastano le Risoluzioni che ci sono già. Un modo obliquo per dire a coloro che sta per andare a visitare che anche nel caso di un loro ulteriore «no» gli Stati Uniti sono pronti a punire l'Iraq da soli? Gli obiettivi delle bombe americane, ha spiegato Kenneth Bacon, il portavoce del Dipartimento della Difesa, non saranno soltanto i luoghi in cui si ritiene che gli iracheni nascondano le loro armi di distruzione di massa, ma anche le unità militari su cui si poggia il potere di Saddam Hussein. Insomma, stavolta ciò che lui rischia è la sua stessa sopravvivenza politica. Franco Pantarelli
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