Per la prosa sacrificata una punta d'amarezza di Masolino D'amico
Per la prosa sacrificata una punta d'amarezza DOPO 50 ANNI Per la prosa sacrificata una punta d'amarezza IL Nuovo Piccolo Teatro è all'esterno un grande bunker anonimo, secondo la prassi dell'architettura moderna. Chiesa, banca, aeroporto, tutto uguale: questo, privo di finestre com'è, se non fosse ravvivato da accessori come luci, striscioni e simili potrebbe far pensare anche a un carcere. Dentro, le cose vanno meglio. Ampi vestiboli bianchi, foyer che avvolge la sala per tre lati, grandi guardaroba alla russa; e soprattutto, nella zona che più ci interessa, acustica accettabile e ottima visibilità, grazie a un'intelligente organizzazione della platea, rialzata in maniera funzionale e coi settori periferici messi di sghembo; discretamente accoglienti, le notorie poltrone. E' un teatro molto milanese, in carattere con gli altri della città. Scavato sotto il livello della strada (perché qui i teatri sono quasi tutti sottoterra?) ma per fortuna, a differenza del Nuovo e del Manzoni, con la volta alta e la galleria non incombente sulla platea. Poi, col palcoscenico forse troppo sviluppato nel senso della lunghezza, e la sala corrispondentemente dilatata, a rischio di perdere in intimità. Infine, piglio ricco e un po' solenne, senza però ostentazione, niente ori e lustrini, ma candidi marmi nei corridoi e il classico rosso cupo per poltrone, moquette e soffitto; due colonne bianche, eleganti, ai lati del boccascena. Senso di nuovo, infine, di pulito, e di orgoglio per chi porgeva l'ultima fatica del Maestro: inservienti in nero giovani e sorridenti, affascinante proiezione sulla parete dell'atrio di un filmato con le prove I dello spettacolo, e l'infaticabile I Strehler in azione, più vivo che mai... Di questo «Così fan tutte» vi riferisce il critico musicale. In vacanza per una sera, il cronista drammatico si è abbandonato al godimento della leggerezza con cui ancora una volta Strehler si è avvicinato a Mozart, impiegando una castità di mezzi - spazio quasi vuoto, tinte chiare e delicatissime, sagome in controluce come nelle sùnouettes tedesche - ancora maggiore che nel suo immortale «Ratto dal serraglio»; e da non competente, ha perdonato volentieri al cast, così gradevole da vedere, qualche immaturità canora in nome della trionfante giovinezza. Come alla conclusione di ogni ciclo naturale, il messaggio è: largo alla generazione nuova. Detto questo, non si può nemmeno tacere quello che una scelta del genere ha sacrificato, ossia una parte di cinquant'anni di lotte del Piccolo per dare a Milano un vero stabile di prosa. Sarà che anch'io fin da bambino aspetto questo evento, ma confesso che verificatosi 0 miracolo, nel vederlo avviare con un'opera lirica - nella città della Scala! - e non con la parola nuda; con dei simpatici ragazzi americani, francesi e spagnoli e con Soleri, Graziosi, la lizzarmi, ossia con gli eredi dei Carraro e dei Moretti: trovo un narcisismo che, se è umanamente spiegabile in un artista giunto alla fine di una parabola straordinaria («ho diritto di divertirmi anch'io»), lascia una punta di amarezza. Sì, questo è il teatro di Giorgio Strehler; chiamiamolo così da subito, senza aspettare la delibera del Comune che lo ospita. Masolino d'Amico ico |
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