Fabbriche salvate dagli archeologi

Fabbriche salvate dagli archeologi Storia del lavoro, un convegno Fabbriche salvate dagli archeologi L' ROMA ART Center Acea inaugurato a Roma nell'ottobre scorso (le statue dei Musei Capitolini all'interno di una centrale elettrica dismessa), il Museo dell'Industria e del Lavoro che sta nascendo a Brescia con reperti di piccole e grandi imprese, l'istituzione all'interno delle nuove facoltà dei Beni Culturali di cattedre specifiche: sono tre esempi di come in Italia l'archeologia industriale stia cercando di cancellare il ritardo di decenni rispetto ad altri Paesi (Inghilterra e Belgio in primo luogo). Per fare il punto sullo «stato delle cose» in questa nuova disciplina, nata proprio in Inghilterra negli Anni 50, come reazione ad un'indiscriminata distruzione di testimonianze storiche, l'Istituto Luigi Sturzo organizza domani pomeriggio nella sede di via delle Coppelle 35 il convegno «L'archeologia industriale fra storia e progresso». Presieduto da Gabriele De Rosa, presidente dell'Istituto, vedrà tra gli altri gli interventi di Valerio Castronovo, direttore del Centro studi per la documentazione storica ed economica dell'impresa, di Bruno Conti, presidente della Commissione nazionale per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale ambientale e industriale, dei presidi di alcune facoltà universitarie come Viterbo e Lecce dove esiste già una cattedra di archeologia industriale. A tirare le conclusioni sarà Gino Papuli, docente a Lecce e autore tra l'altro del volume L'ingegno del congegno, un manuale che cerca di fornire una metodologia di studio e di ricerca in questo campo. «Finora - spiega Papuli - il discorso dell'archeologia industriale è stato affrontato seguendo competenze separate, ad esempio nel caso degli architetti, si è privilegiato il contenitore, ossia gli edifici, rispetto al contenuto. Si tratta invece di avere una visione unitaria dei problemi, che permetta di effettuare le scelte necessarie, perché ovviamente non si può salvare tutto». Così nel suo libro Papuli cerca di individuare criteri di catalogazione e di tutela, utili per fornire ai futuri tecnici del settore una preparazione multidisciplinare. «Di strada comunque - afferma Castronovo - negli ultimi anni se n'è fatta anche in Italia molta. Basti ricordare il progetto Prometeo che abbiamo realizzato nel '93 con Confindustria». Quel progetto permise una sorta di censimento fotografico sia degli opifici del '600 o del '700 che avevano visto nascere l'industria in forme ancora pionieristiche, sia delle strutture più recenti significative non solo per la storia dell'architettura come il Lingotto di Torino. «Oggi - spiega ancora Castronovo - sta nascendo a Brescia, in un'area industriale dismessa, il primo Museo dell'Industria e del Lavoro: un museo non tradizionale, che funzionerà anche da centro di ricerca e di studio. Abbiamo già raccolto macchinari di aziende come Om, Fiat, Breda, Beretta, fondata nelle valli bresciane nel '500. Già visibile è la parte dedicata all'industria cinetelevisiva: ci sono oltre un migliaio fra telecamere e cineprese della Gamma Film e della Donato Film, aziende che realizzarono le tecnologie dei primi caroselli tv». Ma l'archeologia industriale non studia solo la conservazione di macchine o edifici. «Si tratta - spiega ancora Castronovo - di mettere in relazione le macchine con lo spazio, di analizzare l'evoluzione dell'organizzazione del lavoro, di seguire i percorsi che hanno portato alla nascita di questo o quell'insediamento industriale». Il punto di arrivo delle molte iniziativa in cantiere potrebbe essere, conclude Castronovo, l'istituzione anche nel nostro Paese, sull'esempio del Belgio, di una Giornata del patrimonio nazionale. In quell'occasione si possono visitare vecchie fonderie e siti minerari, fabbriche nuove e stabilimenti dismessi e chi vuole può andare alla ricerca delle testimonianze e della memoria del lavoro e dell'intelligenza di intere generazioni di operai, ingegneri e progettisti. Rocco Moltterni