E l'Onorevole diventa agente segreto di Filippo Ceccarelli

E l'Onorevole diventa agente segreto Microfoni e altre diavolerie: quando la politica si intreccia con lo spionaggio E l'Onorevole diventa agente segreto 1ROMA O registro, tu registri, lui registra, tutti registrano e così, a forza di registrarsi l'un l'altro, in modo coperto o scoperto, al chiuso o all'aperto, nel Palazzo entrano nuove professionalità inconfessabili e nuove competenze radiotecniche di cui questo Roberto Gasparotti, «operatore» di fiducia di Berlusconi, è un rappresentante esemplare, addetto com'è al sussidio audio-difensivo. In una politica sempre più intrecciata con lo spionaggio, le precauzioni non sono mai troppe. E allora eccoti Gasparotti che provvede all'impianto, predispone e colloca i microfoni, li occulta perché non diano nell'occhio ed esegue le registrazioni secondo precise campionature. Riascolta quindi i nastri, alcuni li riutilizza, altri duplica, altri ancora trascrive. Tra i suoi compiti - e i suoi poteri, dopotutto - c'è anche quello di cancellazione e di taglio delle bobine: «Per favorire la sintesi, ma senza alterare il senso compiuto delle singole frasi» ha spiegato ai giudici questo delegato alla produzione Rti-Mediaset, testimone vivente (seppur incolpevole) di una politica così tecnologicamente malfidata e «americanizzata» da oltrepassare ogni possibile paranoia, collocandosi nella dimensione indefinibile dell'auto-intercettazione preventiva a scopo cautelare. Berlusconi, oltretutto, risulta aver arruolato Gaspa¬ rotti proprio dopo la scoperta (ottobre 1996) del celebre «cimicione» a casa sua vicenda apparsa già allora poco chiara, anzi con tendenza al grottesco, fra portieri di stabili, tecnici di Pomezia e scontatissiini spioni. S'apprende oggi - ed è il colpo finale - che il Cavaliere autorizzò il nuovo addetto a conservare le registrazioni «per la storia». Questa della Storia, infatti, oltre a suonare perdutamente arbitraria nella sua vanità, ricorre spesso nei meandri della dirty-politics all'italiana. Anche Craxi registrava di nascosto i suoi interlocutori - che per anni, ignari della telecamera in agguato, si sono chiesti come mai li faceva sedere così distanti da lui: «Bastava che spingessi un bottone sotto la scrivania, e la telecamera partiva automaticamente». Ebbene, anche Craxi, una volta, disse che quei documenti erano destinati alla Storia. O meglio: «Sono particolari tecnici per i quali occorre rivolgersi al servizio che ha il compito di consegnare alla storia con mezzi moderni alcuni episodi di cui sono stato testimone». I nastri bettiniani, autentico arsenale audiovisivo, sono oggi ad Hammamet. Di uno solo, «in termini che sono inconfutabili», come scritto nella minacciosa premessa, Craxi ha divulgato la trascrizione, nel febbraio 1994: un colloquio con un certo avvocato Pezzi che poi gli aveva dato del buffone. «Se non l'avesse fatto - ha spiegato non mi sarei mai permesso di rendere pubblico tale colloquio. Ma Pezzi mi ha costretto». E allora Craxi l'ha sbugiardato. Ecco dunque a che serve nel migliore dei casi - questa estrema risorsa sonora tanto in voga oggi, ma di cui si rintracciano efficaci applicazioni «politiche» già nei primi Anni Cinquanta, come dimostra la registrazione a tradì- mento con cui Silvio Gava si vantò di aver incastrato Achille Lauro. Estorcere la buonafede dei propri interlocutori, ospiti o commensali con finta confidenza, e quindi inciderla su nastro magnetico, non è mai carino. E', o almeno è stata considerata finora, una pratica da faccendieri o agenti segreti, e in ogni caso sempre messa in atto per intrighi, delazioni, provocazioni. Ora, dalle registrazioni ai danni del povero Calvi o di quelle effettuate dal capitano Labruna alle spalle del golpista Orlandini al possibile utilizzo in politica il salto è, pur con tutti gli inselvatichimenti di questi ultimi anni, abbastanza netto. Inoltre, la pratica ha tutta l'aria di essere contagiosa, e un'impiantistica auto-intercettatoria diffusa a tutti, leader e partiti, renderebbe quel che si chiama il quadro politico ancora più disperante. Tanto meglio il sistema utilizzato dal presidente Scalfaro, che sul tavolino di marmo accanto a cui siedono gli ospiti delle udienze fa trovare un microfono acceso: «scuro e d'aspetto antiquato, testimone muto e metallico della verità presidenziale e degli interlocutori» lo descrive Massimo Franco nella sua recente biografia II re della Repubblica (Baldini & Castoldi). Un microfono che in questi giorni è stato rimpiazzato da un modello più moderno, e tuttavia non meno evidente. Filippo Ceccarelli Il presidente Scalfaro A ds. La Bruna Craxi faceva sedere gli ospiti in posizione «giusta» e partiva la telecamera: bastava premere un bottone sotto la scrivania Bettino Craxi A sinistra: Silvio Gava

Luoghi citati: Hammamet, Pomezia