«Sì al pagamento, ma controllato» di F. Poi.

«Sì al pagamento, ma controllato» Vertice a Brescia, ma i familiari non sono d'accordo. Tarquini: la legge la conosciamo anche noi «Sì al pagamento, ma controllato» Soffiantini, una nuova linea della procura BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO «Siamo in linea», giura il procuratore capo di Brescia Giancarlo Tarquini, assediato nel suo ufficio al secondo piano del Palazzo di giustizia. «C'è perfetta sintonia», conferma con raro equilibrismo, dopo quella raffica di inviti ad allentare la linea dura nella gestione delle indagini sul sequestro di Giuseppe Soffiantini, arrivati dal ministro Flick, dal ministro Napolitano e dal superprocuratore nazionale antimafia Vigna. Inviti pressanti, che iniziano ad avere effetto sui magistrati che da sette mesi cercano di venire a capo del sequestro di Giuseppe Soffiantini. Un'ipotesi si fa strada: quella di concedere il pagamento controllato del riscatto. In pratica, l'emissario della famiglia Soffiantini - a stretti termini di legge - potrebbe consegnare il riscatto solo sotto il controllo di polizia e carabinieri. Un'ipotesi a cui dicono «no» i famigliari di Soffiantini. Che non vogliono fare nemmeno una mossa azzardata, che potrebbe mettere in pericolo il loro congiunto. Per ora è solo una ipotesi, una delle tante fatte nel corso della lunghissima riunione di ieri, al secondo piano del Palazzo di giustizia, presenti il procuratore capo Giancarlo Tarquini, i sostituti che si occupano del caso, Paolo Guidi e Luca Masini. Più i vertici dei carabinieri e della polizia. Certo è che non possono cadere nel vuoto i pressanti inviti di due ministri e del procuratore capo antimafia, Piero Luigi Vigna, che in poche righe - lui strenuo difensore del blocco dei beni - questa volta guarda all'altro lato della medaglia, quello che interessa più direttamente ai famigliari dell'imprenditore di Manerbio, sequestrato il 17 giugno dell'anno scorso. Aveva detto Vigna: «Il magistrato ha la possibilità di autorizzare il pagamento del riscatto, se ne ravvede l'esigenza». Risponde Tarquini: «Quella legge la conosciamo, il dottor Vigna la sa meglio di me, ma la conosciamo anche noi». Sono due culture che si scontrano, oramai. Da una parte ci sono Tarquini e gli altri magistrati del pool antisequestro, noti per la rigidità con cui applicano la legge. Dall'altra parte, ci sono tutti gli altri. E chissà se il giovane magistrato bresciano Luca Masini, uditore giudiziario di Di Pietro quando era l'eroe di Mani pulite, potrà ancora continuare ad avere sul video del suo computer quelle parole che adesso hanno il sapore di una beffa: «Il crimine non paga». A pagare ci avevano provato agli inizi di dicembre i figli di Soffiantini, con quella frettolosa raccolta di quei 4 miliardi in contanti, in lire e in dollari, bloccati dalla procura su indicazione di uno zelante funzionario di banca. Adesso, dal Credito Agrario Bresciano arrivano smentite: «Non ci risulta». Ma la legge parla chiaro. Per i movimenti bancari superiori ai 20 milioni la registrazione è obbligatoria. Lo prevede la 197 del '91, la legge antimafia. Ci vuole un cavillo, allora. Un cavillo che stanno cercando i magistrati di Brescia. Mentre i figli di Giuseppe Soffiantini cercano un contatto veloce, un appuntamento sicuro, lontano da occhi indiscreti, per pagare quel riscatto, che porterebbe alla fine della prigionia dell'imprenditore. Sono ore concitate, le offerte che arrivano dall'imprenditore sardo Niki Grauso, che pure ebbe un ruolo nella liberazione di Silvia Melis, cadono nel vuoto. Di certo, per ora, c'è solo la banda dei sardi e dei loro complici, che sfilano nell'aula della corte d'appello, per l'incidente probatorio. Ieri è toccato a Pietro Raimondi, un pregiudicato da niente che per un caso finì nella stessa cella di Mario Moro, il capo della banda di sequestratori. «Gli dissi che un mio compaesano a Manerbio aveva un sacco di soldi, gli feci il nome di Soffiantini», racconta. Ma poi quasi si giustifica: «Pensavo a un colpo, a una rapina. Solo dopo ho capito che si trattava di un sequestro di persona», [f. poi.]

Luoghi citati: Brescia, Manerbio