«Bloccale i 4 miliardi della famiglia»

«Bloccale i 4 miliardi della famiglia» «Bloccale i 4 miliardi della famiglia» A dicembre la Finanza sequestrò il riscatto lllliyiSllill 1 ►] "* «I « J LO STOP ALLE TRATTATIVE BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO Giuseppe Soffiantini poteva essere liberato ai primi di dicembre. I suoi famigliari erano pronti a pagare il riscatto, avevano già raccolto quattro miliardi. Ma la procura dì Brescia ha bloccato l'operazione, in osservanza alla legge sul sequestro dei beni. E così, quei primi giorni di dicembre, per la famiglia Soffiantini, per i figli, per i parenti più stretti dell'imprenditore di Manerbio, sono diventati un incubo. Con i militari della Guardia di Finanza che perquisivano le loro case, gli uffici, alla ricerca dei soldi del riscatto che, in nome della legge, non poteva essere pagato. Volevano quattro miliardi, Attilio Cubeddu e Giuseppe Farina, gh ultimi capi della banda in azione il 17 giugno nella villa di Manerbio. E quei quattro miliardi - inizialmente dovevano essere venti - ai primi di dicembre erano pronti. Tutti in biglietti di piccolo taglio, tutti usati, per impedire ogni traccia, come avevano chiesto i sequestratori. Per aggirare la legge sul blocco dei beni, i figli di Giuseppe Soffiantini avevano deciso di rivolgersi a un parente stretto. Era stato lui, ad andare alla sede di Brescia del Credito Agrario con quella richiesta molto semplice: «Dovrei ritirare quattro miliardi, devono essere in contanti». Solo lo zelo del funzionario di banca, solo la linea dura imposta su tutta la vicenda dalla procura di Brescia, hanno impedito il prelievo e portato al sequestro dei soldi, di quei miliardi che sarebbero serviti, a pochi giorni dal 20 dicembre, allo scadere dell'ultimatum imposto dai sequestratori, a pagare il riscatto. In unica rata, un atto definitivo che avrebbe riportato in libertà Giuseppe Soffiantini. E invece no. L'ammontare dell'operazione, insospettisce il funzionario del Credito Agrario. Forse nemmeno sa, che quell'uomo davanti a lui, vuole solo aiutare i figli di Soffiantini, fornire la «provvista» per il riscatto. Forse non lo sa, ma ci mette un attimo a sollevare la cornetta del telefono, a chiamare la Guardia di Finanza che a sua volta avvisa la procura. E dai magistrati di Brescia, dal capo Giancarlo Tarquini, ai sostituti Luca Masini e Paolo Guidi, arriva l'alt. I soldi vengono bloccati, il sequestro non può essere pagato. Mentre i famigliari temono l'arrivo dell'ultimatum e l'ira dei rapitori, che potrebbero pensare di essere stati ingannati, malgrado gh accordi, le lettere, le telefonate, l'appuntamento già fissato al confine tra Liguria e Toscana, mentre i famighari di Soffiantini vivono ore di angoscia, i magistrati di Brescia ordinano le perquisizioni a casa di Carlo, Paolo e Giordano Soffiantini e dei parenti più stretti. Linea dura, dunque. Anche adesso che Giuseppe Soffiantini in persona va all'attacco dello Stato e dei magistrati. Dal procuratore capo Giancarlo Tarquini arrivano parole di conforto, ma nessuna intenzione di cambiare atteggia- mento, anche dopo l'intervento del rninistro Flick e del ministro Napolitano. Da Tarquini, poche parole a telecamere accese: «Prendiamo atto deUa ferocia dei sequestratori, tutto procede come prima». E ancora una volta, a metà dicembre, i figli di Carlo Soffiantini, eludendo gli mquirenti, mettono da parte altri quattro miliardi. Sono pronti a pagare, aspettano istruzioni. Ci pensano le Poste, questa volta, a mandare tutto all'aria. La lettera arriva il 16 dicembre, l'appuntamento è per il 12, quattro giorni prima. Un emissario della famiglia, per tre giorni, stesso luogo, stessa ora ma con un ritardo insuperabile, si reca all'incontro. Dei sequestratori non c'è traccia. Le feste di Natale passano in silenzio. Ci sono solo le fiaccolate a Manerbio, il vescovo che invita a pregare e i figli di Soffiantini che implorano un segnale, la prova di vita, un nuovo contatto per arrivare velocemente alla soluzione del sequestro. I rapitori non rispondono, scelgono il silenzio, prima di una cla¬ morosa iniziativa, senza precedenti. L'otto gennaio imbucano due lettere. Una, si sa, è quella per il «Tg 5» di Enrico Mentana. Dentro la busta gialla c'è l'orribile prova che Giuseppe Soffiantini è ancora vivo: quel lembo di orecchio, contenuto in un preservativo. L'altra lettera, che porta la stessa data, arriva alla villa di Manerbio. Dentro ci sono poche pagine, scritte di pugno dall'imprenditore. Non si sa, se ci sono indicazioni per il pagamento, se viene fissato un nuovo appuntamento. Il riserbo è massimo. Così come riservata viene tenuta fino ad oggi la lettera arrivata a dicembre, che solo all'ultimo momento, solo in questi giorni, i figli di Soffiantini dicono di aver ricevuto. E lo comunicano alla procura. Dell'ultima lettera di gennaio, si conosce solo una richiesta dei sequestratori: l'avvocato Giusep¬ pe Frigo, che fino a quel momento ha assistito i famighari di Soffiantini, non deve occuparsi più del caso. I figli dell'imprenditore accettano e pochi giorni dopo danno il clamoroso annuncio, attraverso Carlo Soffiantini: «D'ora in avanti trattiamo noi, non ci saranno più intermediari». La vicenda, per ora, si ferma qui. Con la richiesta di una prova di vita chiesta dai figli di Soffiantini, con la volontà di avere un nuovo contatto, con il desiderio di pagare al più presto il riscatto. E con quella lettera clamorosa, arrivata sul tavolo del direttore del «Tg 5». In mezzo, ci sono i giorni da contare. In una prigione, forse ancora nella campagna toscana. Negli uffici della procura di Brescia e nella villa di Manerbio dove anche ieri sera, fino a tardi, sono rimaste accese le luci. Fabio Potetti Un parente si recò in banca per ritirare i soldi in contanti Ma i militari agirono dopo la segnalazione del direttore