Il calvario diventa un parco di Liliana Madeo

Il calvario diventa un parco Il calvario diventa un parco Un giardino dove fu ucciso ilpiccolo Di Matteo PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Sul piccolo schermo appaiono le prime immagini del video dedicato a Giuseppe Di Matteo, il bimbo ucciso dalla mafia dopo quasi due anni di prigionia, e subito nell'aula consiliare di San Giuseppe Iato si fa silenzio. Un silenzio commosso. Antonino Caponnetto ha gli occhi lucidi. La telecamera attraversa i campi della contrada che hanno fatto da sfondo - per il bambino - allo scorrere delle stagioni, entra nel casolare dove gli uomini di Riina lo hanno strangolato, e mostra i sanitari fra calcinacci, la rete e il materasso su cui dormiva, la polvere, la sporcizia, la botola, la scaletta interna di legno, lo squallore su cui il figlio del pentito Santino Di Matteo ha posato i suoi ultimi sgardi. I sigilli sono stati tolti pochi giorni fa per consentire la ripresa. La madre del bambino - racconta il sindaco Maria Maniscalco - ha pianto al telefono alla sola descrizione di questo scenario, ma oggi non se l'è sentita di venire a vedere dove suo figlio è morto. Qui nascerà «Il Giardino Di Matteo», un piccolo parco «segno della memoria e dell'impegno antimafia» dice il sindaco, «luogo che deve trasformare la sofferenza in solidarietà, il dolore in speranza» aggiunge il procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli. Don Ciotti e la Maniscalco firmano una «carta d'intenti» perché diventino realtà le palme e i fiori che le associazioni di volontariato verranno a piantare, mentre «un occhio vigile collegato a internet in continuazione trasmetterà a tutto il mondo le immagini di questo sito» annuncia don Ciotti. De Mistura, rappresentante dell'Onu, ammette: «Credo sia la prima volta che partecipiamo a un evento del genere». Leoluca Orlando parla dei minori violati dalla crudeltà e dallo sfruttamento. Caponnetto propone che si celebri ogni anno la giornata dei diritti dell'infanzia. Nella piccola aula consiliare si inseguono le voci. Walter Veltroni porta l'impegno dello Stato verso la «Sicilia che nascerà, non quella della botola ma delle piante che in questo giardino cresceranno e che sono il simbolo della Sicilia di oggi, della società civile e della sua voglia di vivere nella normalità». Parla della stabilità di governo come garanzia per la sicurezza e la progettualità dei cittadini, del valore della trasparenza e della certezza delle regole. Quindi, in questo suo viaggio nella provincia palermitana, fra regni di mafia e ansia di rinnovamento, passa a Partinico dove il primo cittadino è ancora una volta una donna coraggiosa, Gigia Cannizzo, provveditore agli studi di Trapani. La prima tappa è la frazione di Trappeto, dove Danilo Dolci aveva scelto di vivere. Il vicepresidente del Consiglio costeggia la grande diga sul fiume Jato, costruita in sei anni da migliaia di volontari, opera della tenace presenza di quel visionario «profeta» venuto dal Nord a parlare di cooperazione, cultura, lotta non violenta. Dopo una ripida salita, ecco l'edificio dove Dolci scriveva, riceveva i visitatori che da tutto il mondo venivano per conoscerlo e magari lavorare con lui. Neanche un mese è passato dalla sua morte. Ma già da tempo lo circondava la solitudine. L'edificio è squallido, cadente. In terra ci sono cartacce, rifiuti, le tracce di una recente incursione violenta. Veltroni dice: ((Abbiamo portato alla Soprintendenza di Palermo le sue carte. Il suo lavoro, questo luogo, non devono morire. Qui sono passate migliaia di persone che hanno reso migliore il mondo. Il nome di Danilo Dolci e di Trappeto, come quello di don Milani e della scuola di Barbiana, sono stati importanti per la mia generazione: ci raccontavano di gente tenace, dello sforzo per far crescere la consapevolezza di una collettività». Liliana Madeo il caso m memoria di una vittima della mafia

Luoghi citati: Palermo, Partinico, Sicilia, Trappeto