L'inverno cinese di Hong Kong

L'inverno cinese di Hong Kong LE TIGRI FERITE EPORTAGE4 Si spengono le luci della città-Stato % L'inverno cinese di Hong Kong All'ombra di Pechino meno turisti, soldi e lavoro HONG KONG DAL NOSTRO INVIATO Rabbiosamente sola. Scintillante, mostruosamente bella, accesa di luci, tripudiante di colori artificiali che sfidano e vincono quelli del mare e di un cielo basso e bùio, Hong Kong è tuttavia disperata. Non è più l'oggetto del desiderio, del dubbio e della passione: un anno fa di quest'epoca tutti si chiedevano che cosa ne sarebbe stato di questa perla coloniale dell'Occidente dopo il passaggio alla Cina. La domanda alimentava rmquietudine, spesso anche in modo artificiale. Ma l'attenzione era alta, la curiosità quasi morbosa, la presenza fisica del mondo europeo e americano palpabile, sensibile, persino nevrotica. Questo momento di magia e di incertezza è svanito. La soglia sul baratro è svanita anch'essa. Tutto è rientrato, è rimasto, in una piatta normalità. E questa normalità, paradossalmente, è una delle cause della sciagura economica che si è abbattuta sulla città-Stato. La normalità ha prodotto disinteresse. Il disinteresse ha generato assenza, anche fisica. E dunque minor presenza, minor frequenza. Controprova: i turisti sono calati del 20 per cento e hanno mandato in crisi la linea aerea Cathay Pacific, posseduta in maggioranza dalla Swire Pacific che formò il suo capitale un secolo fa commerciando in oppio e, per un'altra quota, dalla Jerdine Matheson, proprietaria del favoloso Hotel Mandarin e dei palazzi circostanti, tutte ambite prede immobiliari dell'ultramuiardario cinese Li Ka-shing il quale disperatamente cerca di comprare il cuore immobiliare di Hong Kong e renderlo, attraverso la sua augusta e cinesissima persona, alla madrepatria. Si tratta, è il caso di dirlo, di una serie di scatole cinesi: il miliardario è caro al cuore di Pechino e Pechino non farebbe mai lo sgarbo di partire direttamente all'arrembaggio del centro storico dell'ex colonia britannica. Tutto si svolge in modi crudeli e sottili, in questo panorama scintillante. Ma intanto, a causa del crollo di interesse per Hong Kong, la Cathay ha licenziato dalla mattina alla sera quattrocento persone sbattendole sul lastrico, e ieri ho visto per la prima volta una folla di gente che piangeva a dirotto per strada: non erano i licenziati, ma gli azionisti disperati. La vita è delicatamente brutale in questo angolo meraviglioso del mondo. Il crollo di interesse per Hong Kong ha fatto sì che la catena televisiva di notizie Cnbc-Asia ha deciso di chiudere fondendosi con la Asi-Business di Singapore, ragion per cui sono stati, o stanno per essere messi sul lastrico altri cinquecento lavoratori dell'informazione perché Hong Kong non fa più notizia, in sé. Eppure, fino alla fine dell'estate qui sembrava che l'eterna giovinezza del dollaro locale (legato a un cambio fisso col dollaro americano) non dovesse mai finire. Ci si sono messi anche i polli con il virus dell'influenza misteriosa e micidiale. La strage dei bipedi innocenti. La saga dei poveri boia dei polli costretti a massacrarne migliaia a mani nude, a coltellate, accettate, con il gas, le forbici, in un furore sanguigno e pennuto che ha fatto per pochi A giorni brillare di nuovo gli spot delle televisioni del mondo, un attimo ancora di gloria riflessa, la morte dei polli, poi di nuovo il sipario. Intanto i macellai dei pennuti soffrono d'insonnia, hanno gli incubi del boia, hanno dovuto metterli in psicoterapia: di giorno vanno nei templi buddisti a portare doni alle anime dei pulcini. Ma polli a parte, sono la paura, la disperazione improvvisa e persino la rabbiosa scortesia figlia dello stress i veri sintomi virali di questa anomalia spaventosamente bella, per la quale è stato coniato un grazioso e tuttavia funzionante nonsense: un Paese due sistemi. Il più spregiudicato capitalismo speculativo, senza cuore ma con molti soldi, e il governo cinese che eredita nome e simboli del comunismo che fu il più radicale, pauperistico e dottrinario della storia. ■ La Cina di echino si vede poco: sventola senza convinzione la bandiera sulla caserma della truppa acquartierata, chiusa a chiave. Non un simbolo sui vascelli della polizia. La Cina è discreta, non si intromette ma è presentissima. La domanda che conta oggi non riguarda i diritti civili, il futuro parlamentare, la libertà di stampa e di riunione, apparentemente non minacciati, ma un'altra ed è la stessa che si fanno non soltanto gli abitanti di Hong Kong, ma di tutta l'Asia, degli Stati Uniti e dell'Europa: la Cina svaluterà o no lo yuan per sostenere i suoi affari commerciali? Oppure stringerà i denti e i cordoni delle banche per dimostrare in termini sia commerciali che politici di essere l'unica potenza del presente e del futuro asiatico? La Cina, ripete Pechino ogni giorno in tutti i modi, non svaluterà. Reggerà cioè la caduta delle altre monete,-sosterrà il proprio commercio senza ricorrere alla misura estrema e quindi non darà il bacio della morte a Hong Kong che della svalutazione cinese morrebbe, perché non potrebbe più pagarsi il lusso di avere una moneta arpionata a quella americana. Pechino incombe, ma non si vede. Però si sente. Alcuni segnali. Ad Hong Kong si parla sempre meno l'inglese. I tassisti non ti capiscono, i portieri d'albergo farfugliano quattro parole, il giornalaio ride nervosamente scuotendo il capo. Non era così fino a qualche anno fa. Si tratta di un processo graduale, destinato a ricondurre questo luogo sotto una lingua unica che non sarà né l'inglese degli ex colonizzatori né il cantonese locale, ma il cinese mandarino di Pechino. Dunque gli ex sudditi della Corona britannica si sentono abbandonati dal mondo e sempre più vicini alla Cina. E si affaccia anche una sottile componente xenofoba, una minor simpatia per gli occidentali. Difficile imbattersi in un sorriso, mentre la disperazione è visibile agli sportelli delle banche. Ieri, dopo il crollo della Cathay Pacific, c'è stato un assalto dei piccoli azionisti agli sportelli che volevano vendere e incassare, ma si sono trovati di fronte a un cartello che rendeva semplicemente noto che le loro azioni erano state trasferite su altre aziende del gruppo e non erano disponibili. Pianti, urla, scene di massa, donne in lacrime sedute sullo scalino dei marciapiedi, pazienti ufficiali di polizia che verbalizzavano denunce, intimazioni, disperazioni. Eppure Hong Kong ha un tasso di disoccupazione ridicolo rispetto ai nostri standard, che non arriva al 2,5 per cento. Quest'anno potrebbe sfiorare il tre. Il fatto è che qui si licenzia dalla mattina alla sera, anche se in genere si assume subito dopo. La gente qui era abituata così: le grandi aziende di parrucche che hanno prodotto le più preziose parrucche del mondo, sono passate da un giorno all'altro all'abbigliamento, ai jeans, poi ai servizi finanziari, poi all'immobiliare, alle patate fritte, al nulla, al tutto. E chi lavora sa che oggi può perdere il lavoro, ma domattina ne trova un altro. Così è stato finora. Ma adesso è arrivato il panico. Si rischia di perdere il posto e restare a guardare i pescatori che appendono i merluzzi a essiccare sulle giunche perché qui non esiste uno straccio di assicurazione sociale, di rete protettiva: questa provincia della Cina comunista un tempo maoista, pratica il più selvaggio dei capitalismi selvaggi, tutto è denaro, finanza, commercio, mediazione, calcolo di interessi. Un agente di viaggio racconta che i cinesi facoltosi chiedono frequentemente un pacchetto di viaggio per l'Italia e non trovano una offerta adeguata. Ma, attenzione, dice: i ricchi clienti non vogliono vedere Venezia, Firenze, Roma e Napoli. Chiedono soltanto Milano, un solo giorno in alberghi da cui sia possibile comperare le griffes, tutta la moda firmata, la pelletteria firmata. E ripartire alla svelta. I servizi di questa città funzionano in compenso in modo perfetto, la criminalità è bassa, la polizia efficiente, deliziosi tramways a due piani colorati, la metropolitana è funzionale, il traffico di superficie intenso ma disciplinato. I pochi turisti a zonzo sono spremuti in giri organizzati che con sistono in sfrontati sequestri negli shopping centers. Il crollo del turismo giapponese, che era il più florido, è stato provocato da un singolare scandalo: i cittadini del Sol Levante si sono resi conto che da anni per loro e soltanto per loro venivano praticati prezzi maggiorati ovunque: negli alberghi e nei ristoranti, nelle librerie e in ogni negozio. Dopo una grande bagarre sui giornali, hanno cominciato a disdire le prenotazioni e i biglietti aerei e anche questo ha contribuito a rendere la situazione più fragile e il nervosismo più consistente. Gli ospedali pubblici sono l'unico beneficio sociale garantito: quasi gratuiti, sono fra i migliori del mondo, anche se ieri un paziente è morto perché gli avevano attaccato r>er errore un deumidificatore alla tlebo. I cantieri sono aperti e palazzoni verticali, vere torri senz'anima e senza forma, seguitano a crescere in altezza. Ma gli affaristi hanno subito crack terrificanti: erano abituati fino a poco tempo fa a comperare interi cantieri a scatola chiusa per ima cifra pagata attraverso un prestito bancario, per poi rivendere con un guadagno del 20 per cento. Adesso è crollata la domanda del dieci per cento e le banche hanno aumen¬ tato gli interessi del venti, sicché il «real estate», il mercato immobiliare più gasato, assurdamente caro del mondo, ha cominciato a sgonfiarsi come un soufflé. I cantieri restano con le loro imbragature incomplete e vanno a rilento, molti i licenziamenti e molti gli affaristi che falliscono. Tuttavia l'affitto per una casa benestante di medie dimensioni sta ancora sui venti milioni di lire il mese. La città non produce ormai quasi più niente di industriale, salvo dettagli: anche le aziende che marcano loro prodotti con un «made in Hong Kong» comperano la mano d'opera in Thailandia o nel Sud della Cina, dove non costa niente. Ma le linee di credito le hanno qui, in città, dove l'accesso al fido bancario è generalmente facile anche se la nuova linea è, qui come in Corea e in Giappone, quella di lasciare crepare l'imprenditore spericolato senza lanciargli la ciambella di salvataggio: niente <(bailout», nessun paracadute per chi viaggia fuori del finestrino. Hong Kong è ormai una macchina che si accende da sola la sera come un pianeta notturno fantasmagorico, funziona come un computer sulla base del software britannico che nessuno si azzarda a manomettere, mette alla macina i suoi sei milioni e mezzo di abitanti e tritura vite e denari senza troppa pietà, senza cultura, ormai quasi senza memoria. Le sue notti sono fiammeggianti, le sue luci accendono orrendi, ma tuttavia clamorosi e alla fine belh, disegni animati in puro stile Walt Disney d'Oriente e ogni suo grattacielo rivela decorazioni simmetriche o bizzarre, come se Chagall e Mirò avessero imperversato sul suo cielo e sulla sua lavagna di vetri e cementi come maghi delle tenebre. Le grandi giunche portano motori, pesci essiccati, scatole di biscotti, abbigliamento da due lire, turisti accalcati e poi scaricati in un inferno dantesco galleggiante di draghi di plastica e fontane al neon che si chiama «Jumbo»: un ristorante a tre piani sull'acqua che sembra l'incubo di Pinocchio dopo il paese dei balocchi, una perversione di colori luci ed acque che nessuna città al mondo, neppure Las Vegas, aveva mai saputo realizzare tanto trionfalmente ma che già una volta il dio della Cina volle punire con le fiamme e l'uragano. Paolo Guzzanti Licenziano linee aeree e network tv Si rischia la svalutazione Licenziano linee aeree e network tv Si rischia la svalutazione Sotto: Il governatore Tung Chee-Hwa con ufficiali dell'esercito cinese Sotto: Il governatore Tung Chee-Hwa con ufficiali dell'esercito cinese I giapponesi disertano da quando Nessuno parla più il cantonese hanno, scoperto che i prezzi o l'inglese, trionfa il mandarino per loro erano maggiorati la lingua dei nuovi padroni HONG KONG DAL NOSTRO INVIATO Rabbiosamente sola. Scintillante, mostruosamente bella, accesa di luci, tripudiante di colori artificiali che sfidano e vincono quelli del mare e di un cielo basso e bùio, Hong Kong è tuttavia disperata. Non è più l'oggetto del desiderio, del dubbio e della passione: un anno fa di quest'epoca tutti si chiedevano che cosa ne sarebbe stato di questa perla coloniale dell'Occidente dopo il passaggio alla Cina. La domanda alimentava rmquietudine, spesso anche in modo artificiale. Ma l'attenzione era alta, la curiosità quasi morbosa, la presenza fisica del mondo europeo e americano palpabile, sensibile, persino nevrotica. Questo momento di magia e di incertezza è svanito. La soglia sul baratro è svanita anch'essa. Tutto è rientrato, è rimasto, in una piatta normalità. E questa normalità, paradossalmente, è una delle cause della sciagura economica che si è abbattuta sulla città-Stato. La normalità ha prodotto disinteresse. Il disinteresse ha generato assenza, anche fisica. E dunque minor presenza, minor frequenza. Controprova: i turisti sono calati del 20 per cento e hanno mandato in crisi la linea aerea Cathay Pacific, posseduta in maggioranza dalla Swire Pacific che formò il suo capitale un secolo fa commerciando in oppio e, per un'altra quota, dalla Jerdine Matheson, proprietaria del favoloso Hotel Mandarin e dei palazzi circostanti, tutte ambite prede immobiliari dell'ultramuiardario cinese Li Ka-shing il quale disperatamente cerca di comprare il cuore immobiliare di Hong Kong e renderlo, attraverso la sua augusta e cinesissima persona, alla madrepatria. Si tratta, è il caso di dirlo, di una serie di scatole cinesi: il miliardario è caro al cuore di Pechino e Pechino non farebbe mai lo sgarbo di partire direttamente all'arrembaggio del centro storico dell'ex colonia britannica. Tutto si svolge in modi crudeli e sottili, in questo panorama scintillante. Ma intanto, a causa del crollo di interesse per Hong Kong, la Cathay ha licenziato dalla mattina alla sera quattrocento persone sbattendole sul lastrico, e ieri ho visto per la prima volta una folla di gente che piangeva a dirotto per strada: non erano i licenziati, ma gli azionisti disperati. La vita è delicatamente brutale in questo angolo meraviglioso del mondo. Il crollo di interesse per Hong Kong ha fatto sì che la catena televisiva di notizie Cnbc-Asia ha deciso di chiudere fondendosi con la Asi-Business di Singapore, ragion per cui sono stati, o stanno per essere messi sul lastrico altri cinquecento lavoratori dell'informazione perché Hong Kong non fa più notizia, in sé. Eppure, fino alla fine dell'estate qui sembrava che l'eterna giovinezza del dollaro locale (legato a un cambio fisso col dollaro americano) non dovesse mai finire. Ci si sono messi anche i polli con il virus dell'influenza misteriosa e micidiale. La strage dei bipedi innocenti. La saga dei poveri boia dei polli costretti a massacrarne migliaia a mani nude, a coltellate, accettate, con il gas, le forbici, in un furore sanguigno e pennuto che ha fatto per pochi

Persone citate: Cathay Pacific, Chagall, Matheson, Mirò, Paolo Guzzanti, Tung, Walt Disney