«Con Castro colpo di fulmine» di M. Tos.

«Con Castro colpo di fulmine» «Con Castro colpo di fulmine» Le confidenze di una fonte vaticana IL PONTEFICE E IL LIDER MAXIMO L'AVANA ENTOURAGE vaticano è molto soddisfatto di come si sta svolgendo la visita a Cuba, ma la «nomenklatura» è irrequieta, e lo fa presente a Fidel. E' quanto ci dice uno dei più stretti collaboratori del Papa, tenuto all'anonimato dalle regole della diplomazia vaticana. Eccellenza, che cosa c'è di sincero in tutti i gesti di amicizia di Castro verso il Papa? «Scherzando, diciamo che si è trattato di un amore a prima vista. Ma realmente sembra che Fidel Castro sia rimasto affascinato da Papa Wojtyla. E bisogna riconoscere che lo dimostra; ha voluto venire all'incontro della cultura, senza che fosse previsto, per accoglierlo, e poi si è quasi eclissato, per lasciargli tutto lo spazio. Sarebbe venuto anche a Santiago, ma preferiva essere presente alla grande Messa a Plaza de la Revolution all'Avana, e allora ha mandato suo fratello Raul; un gesto di grande considerazione. E Fidel ha detto, e probabilmente lo ha detto anche al Pontefice durante il loro colloquio, che ritrova nei discorsi di Giovanni Paolo II molto del primo castrismo: anticapitalismo, lotta per i poveri, ma in forme pacifiche; non volevo la violenza, ha detto, Batista e gli Usa ci hanno forzato in quella direzione». Sembra un vero idillio... «Bisogna distinguere tra Fidel Castro e quelli che sono dietro di lui. I quadri del potere sono molto inquieti. In tutte le apparizioni pubbliche del Pontefice, fanno notare, non c'è stato un solo grido di "viva la Revolution". E dov'è il Partito? si chiedono. Il Partito in questi giorni è completamente scomparso, come dissolto». Qual è il prezzo che la Chiesa deve pagare per questo? «Fidel dice: come è semplice trattare con voi del Vaticano, risolviamo i problemi fra di noi. Ma l'obiettivo del Papa è lo "sdoganamento" della Chiesa cubana, relegata in una posizione marginale da decenni. Non voghamo che all'Avana pensino di poter passare sopra la testa della Chiesa di Cuba, per mettere a fuoco problemi e situazioni locali». Come pensate di riuscire a realizzare questo obiettivo? «Il Papa ha compiuto una serie di gesti piccoli, ma molto indicativi. Se ne possono elencare tre. Quando è arrivato ed è passato a salutare i diplomatici schierati, il Protocollo avrebbe voluto che come al solito avesse alla sua destra il Segretario di Stato, card. Sodano. E invece, molto discretamente, ma con decisione, ha preso per il braccio il cardinale dell'Avana, Jaime Ortega y Alamino. E lo stesso identico gesto ha compiuto durante la visita a Fidel Castro al Palacio de la Revolution. All'incontro con il mondo della cultura, ha voluto che il saluto introduttivo fosse pronunciato dal porporato. Tutto questo significa una cosa sola: questo è il mio uomo a Cuba, se volete parlare con qualcuno, parlate con lui». Chi segue il Papa da tempo ha l'impressione fortissima di assistere a un copione già vissuto: il Papa arriva, come in Polonia nel '79, chiede spazio per Chiesa e laici, e poi nasce Solidarnosc, e tutto quello che sappiamo. Assisteremo alla nascita di una «Solidarid» cubana? «Non c'è da fare un paragone con la Polonia del '79. La Polonia di allora era uno Stato a sovranità limitata, e il Papa parlava in Polonia affinché Mosca ascoltasse. Cuba è uno Stato indipendente da sempre; con problemi e anche errori, ma indipendente dall'inizio. Il problema è far capire che la Chiesa e soprattutto i laici hanno un ruolo». Perché il Papa non ha visto gli oppositori cattolici, del Movimento cristiano di liberazione? «Non risulta che alla Nunziatura siano giunte delle richieste di un'udienza da parte di partiti politici cristiani». In effetti sembra che il Mei abbia chiesto di incontrare il Papa, e che la risposta sia stata che non c'era spazio nel programma, già troppo fitto. [m. tos.]

Persone citate: Batista, Fidel Castro, Giovanni Paolo Ii, Jaime Ortega, Mei, Palacio, Papa Wojtyla