D'Adamo, altri veleni su Di Pietro

D'Adamo, altri veleni su Di Pietro Brescia, mercoledì l'imprenditore sarà chiamato a ripetere le sue accuse davanti ai giudici D'Adamo, altri veleni su Di Pietro E spunta un testamento trappola MILANO. Antonio Di Pietro e Silvio Berlusconi. Nel suo testamento, depositato davanti a un notaio il 21 novembre '94, l'imprenditore Antonio D'Adamo ricorda tutti e due, l'allora magistrato in carica e l'allora presidente del Consiglio, entrambi dimissionari di lì a poco. Per il leader di Forza Italia, che aveva chiamato D'Adamo per cercare di frenare Di Pietro «Ingegnere, siamo nelle sue mani», aveva detto da Arcore Berlusconi - Antonio D'Adamo ha parole affettuose. Scrive, al notaio: «Le affido fiduciariamente il mio testamento olografo, con preghiera di voler informare della sua esistenza, nel caso di mio decesso, oltre i miei famigliari, anche il mio amico dottor Silvio Berlusconi, che spero vorrà assisterli in un momento che per loro sarà particolarmente difficile». E poi c'è il nome di Antonio Di Pietro. Come rivela «Il Giornale» ieri in edicola. Davanti al notaio, l'imprenditore milanese è altrettanto affettuoso. Come ricorda nel verbale reso davanti ai magistrati di Brescia lo scorso luglio: «Nel testamento ho ricordato ai miei figli di essere riconoscenti con Di Pietro per l'aiuto che mi aveva dato tramite Pacini Battaglia». E con il nome di Pacini, torna la connection al centro dell'inchiesta bresciana, quella di Silvio Bonfigli, Antonio Chiappani e Francesco Piantoni. Quella sui 12 miliardi passati dalla Karfinco di Pacini alle società di D'Adamo. E - sospettano i magistrati che li hanno messi sotto inchiesta - pure nella disponibilità di Di Pietro. Di quei soldi, D'Adamo racconta un particolare ancora sconosciuto, nel verbale della scor- sa estate. Ricorda: «Di Pietro mi disse di non sciupare tutti quei soldi, ma di tenere qualcosa da parte anche per lui, per il futuro». Una battuta, detta così. Non certo la prova dell'interessamento dell'ex magistrato per i soldi del banchiere di Bientina, adesso nuovamente in cella per le mazzette ferroviarie. Di altri soldi, D'Adamo fa invece un racconto puntiglioso. Tirando in ballo pure l'avvocato Susanna Mazzoleni, la moglie di Di Pietro. Fa mettere a verbale D'Adamo: «Avevo conferito una consulenza all'avvocato Mazzoleni. Versavo due milioni, due milioni e mezzo al mese. In più, come chiestomi da Di Pietro, versavo personalmente alla signora Mazzoleni la somma di 1 milione e mezzo al mese, come contributo alle esigenze fami¬ gliari». Diceva di pagare, D'Adamo. E dove non lo faceva personalmente, in contanti, lo faceva coprendo gli assegni che Di Pietro emetteva in varie occasioni. Accusa, D'Adamo: «Nel corso di tre o quattro anni, mi sono recato con Di Pietro ad acquistare capi di abbigliamento in occasione dei vari cambi di stagione, presso i negozi "Tincati" ed "Hitmann" di Milano». Poi, spiega: «Ci recavamo insieme ad effettuare gli acquisti, lui pagava con un suo assegno, ma successivamente io provvedevo a corrispondergli in contanti l'equivalente dell'importo pagato». Una volta, giuraD'Adamo, accompagnò la signora Mazzoleni ad acquistare abiti presso la boutique Max Mara, con il solito sistema di pagamento. D'Adamo ricorda anche altri «aiuti», all'ex magistrato di Mani pulite: telefonini, cento milioni poi restituiti, l'utilizzo di una gargonnière dietro piazza Duomo a Milano, biglietti aerei Milano-Roma e l'utilizzo di una suite al residence Mayfair di Roma, per almeno un anno e mezzo, valore 5-6 milioni al mese. Una valanga di accuse, che D'Adamo registra puntigliosamente nel monumentale verbale - oltre 70 pagine - redatto davanti ai pm bresciani che da anni stanno passando ai raggi «X» tutta l'attività di Di Pietro e i soldi e i regali. Quelle stesse accuse, Antonio D'Adamo sarà chiamato a ripeterle mercoledì prossimo, sempre a Brescia, nell'incidente probatorio davanti al gip Anna Di Martino, chiesto dai magistrati, [f. poi.] L'imprenditore Antonio D'Adamo

Luoghi citati: Arcore, Bientina, Brescia, Milano, Roma