Prodi: ora il mondo ci dà fiducia di Fabio Martini

Prodi: ora il mondo ci dà fiducia Prodi: ora il mondo ci dà fiducia l'Italia pesa di più, ma la chiave resta l'euro» «IO, COMMESSO VIAGGIATORE» ROMA. Sul sofà del suo studio a Palazzo Chigi, Romano Prodi ricorda quell'episodio e gli viene da sorridere: «Era notte, volavamo sull'aereo della presidenza e ad un certo punto guardai dall'oblò. Individuai alcune luci e dissi: quella è Cremona! Se uno ha la passione per la geografia, la carta ce l'ha in testa. E poi sull'aereo abbiamo un atlantone grande così...». Romano Prodi ha una passione quasi adolescenziale per le carte geografiche e quando andò a fuoco il suo studio di Palazzo Chigi, il Professore potè consolarsi: nell'incendio si era salvato - sebbene un po' abbrustolito - il «Calendario Atlante» De Agostini che Prodi va ad acquistare personalmente i primi giorni di ogni anno. E questa passione è uno degli stimoli che, sia pure sotto traccia, hanno spinto Romano Prodi a pianificare e poi realizzare una quantità di missioni all'estero che ha pochissimi precedenti nella storia repubblicana. In 20 mesi, gli aerei di Palazzo Chigi hanno compiuto più di 100 mila chilometri per portare il presidente del Consiglio in 33 Paesi di quattro continenti. E oramai se ne sono accorte le diplomazie e i più autorevoli giornali del mondo: dopo anni dì piccolo cabotaggio, l'Italia è uscita dall'ombra e sta cercando di imbastire una sua autonoma politica estera. L'euro, la battaglia sul nuovo Consiglio di sicurezza dell'Orni, la missione in Albania apprezzata dagli Usa sono le diverse facce di un protagonismo italiano che si esprime anche nella continuità che Prodi ha voluto dare ai suoi viaggi all'estero. Racconta il Professore: «Negli anni scorsi, quando giravo per il mondo e vedevo le missioni degli altri soffrivo. Gli italiani si vergognavano ad andare in giro per vendere e comprare. E mentre i nostri non si curavano di queste cose, vedevi Chirac che sbarcava in forze in un Paese. E allora ho deciso che questa doveva diventare una delle missioni della nostra politica estera: aprire i mer- cati. Cercando di presentarci in ogni Paese con tutto il sistemaItalia: il governo, le imprese piccole, medie e grandi, le banche». Un sorriso e poi: «E d'altra parte a me piace fare... il commesso viaggiatore». Certo, c'è un filo di civetteria in questa autodefinizione, tanto più se si pensa alla potenza degli interessi in gioco nelle tre aree scelte da Prodi per la prima proiezione esterna: l'Asia, l'Est europeo, il Mediterraneo. Tre aree nelle quali, tra l'altro, si stanno ridisegnando le grandi rotte commerciali, le nuove «vie delle Indie». «Noi - sostiene Prodi - dobbiamo essere la porta di uscita dall'Europa e quella di entrata dall'Asia. Non è velleità perché lo sviluppo dei porti italiani negli ultimi due anni è stato straordinario e negli ultimi mesi imprevisto. E' uno sviluppo alimentato da Suez, diventato uno dei nostri polmoni. Nella rotta da Est a Ovest, le navi "giro-mondo" arrivano appunto da Suez, passano attraverso lo Stretto di Messina e vanno a Gibilterra. E viceversa. E allora si capisce il boom dei nostri porti, che si trovano su questa rotta: a Gioia Tauro ci sono due milioni di container l'anno ed è recente la decisione della "Evergreen", la più grande compagnia del mondo di container, di andare a Taranto. E anche Cagliari è in ripresa...». E anche se Prodi non lo dice, lo fa capire, presto anche tedeschi e giapponesi chiederanno di fare scalo da noi: «E' un'anomalia economica per le stesse aziende automobilistiche tedesche - Mercedes o Bmw - imbarcare le loro auto da Amburgo verso Est. Non ha senso. Ora hanno cominciato a prendere in considerazione altre ipotesi. E perché le macchine giapponesi sbarcano ad Amburgo e a Rotterdam? Solo perché siamo mancati nella nostra presenza nel mondo!». E alla luce di queste parole si capisce perché Prodi (che ha nel ministro Roberto Nigido il suo consigliere diplomatico) abbia puntato forte sull'Asia, si capisce - al di là delle versioni ufficiali - di cosa si sia parlato in Giappone, a Singapore, in Cina, ma anche in Indonesia e in India. Tutti Paesi nei quali Prodi era già stato, o come professore o come presidente dell'Iri e nei quali conosceva già molti personaggi. E su questa costante dei suoi viaggi, Prodi scherza: «Oramai li conosco tutti. In fondo anche quello del mondo è un grande circo! Ci sono tutti gli "animali" che fanno i loro numeri e più si conoscono questi "animali", più si riesce ad intavolare trattative». E da que¬ sto punto di vista il rapporto personale che il presidente del Consiglio è riuscito a stringere con Kohl, Jospin e Blair è una carta che Prodi ha già calato in più di un momento di crisi. L'altra area visitata quasi per intero da Prodi e nella quale l'Italia ambirebbe consolidare una propria zona di influenza è l'Est europeo. Una piccola Ostpolitik sulla quale, in particolare, sta lavorando il sottosegretario agli Esteri Piero Fassino. E anche qui le rotte commerciali sono state modificate da pochi anni, visto che fino al crollo del muro di Berlino, il movimento era tutto Nord-Sud. «In quest'area - dice Prodi - dobbiamo favorire la realizzazione di infrastrutture indispensabili. Lavoriamo per il "corridoio numero 5", il BarcellonaLione-Torino-Trieste-LubianaBudapest-Kiev, un asse che darà respiro alla piccola e media impresa del nostro Nord-Est. E più in basso serve un corridoio parallelo, il Tirana-Skopje-Sofia-Varna-Costanza-Istanbul: questo ci consentirà di mettere nel giro il Mezzogiorno. Non possiamo pensare che il nostro Sud possa svilupparsi se ha davanti a sé il vuoto». E proprio domani il presidente della Fiera del Levante sarà ricevuto a Palazzo Chigi, con l'obiettivo di organizzare la Fiera di Tirana, piccolissimo ma iniziale volano per quel Paese così depresso. Ma la scommessa economica più grande dell'Italia, a parte l'euro, è che le acque del Mediterraneo non si increspino. E questo spiega la simpatia italiana verso la Turchia, sebbene i turchi se la siano presa anche con Prodi quando il Consiglio di Lussemburgo ha tenuto acceso il rosso all'ingresso nell'Ue. Racconta il presidente del Consiglio: «Quando ho telefonato al primo ministro turco, mi ha subito rimproverato, dicendomi: presidente Prodi, tre settimane fa lei mi aveva detto che la vostra sfida era il rapporto tra mondo cristiano e islamico. Quel discorso mi era molto piaciuto e ora invece ci sbattete le porte in faccia! E io gli ho risposto: abbia pazienza, quella resta la nostra politica, è nostro interesse approfondirla». Estremo Oriente, Est europeo, Mediterraneo, tre aree scelte perché qui il monopolio dei principali concorrenti è meno accentuato e, guarda caso, il 1998 sarà l'anno dell'America Latina: fra marzo e aprile Prodi andrà in Brasile, Argentina, Uruguay, Cile, Paesi nei quali esiste già una presenza italiana, ma dove crescono le spinte all'autonomia continentale e alla collaborazione con l'Europa, mentre si infittiscono le ostilità alla «Enterprise for Americas» di Bush, ripresa da Clinton ma mai concretizzata. Finora il protagonismo di Prodi non sembra aver creato incidenti «diplomatici» con un'altra «primadonna» come Lamberto Dini, anche se nel passato - accadde a Lisbona - i due diedero vita ad un imbarazzante, pubblico duetto. Ma tutti questi sforzi bastano per dire che l'Italia oggi pesa di più nel mondo? Prodi misura le parole: «Non ho alcuna intenzione di fare una politica estera velleitaria, di prendere posizioni di bandiera che suonino alte come rumore e poi concludano poco. Ma c'è più serietà, più fiducia. E quando capitano, bisogna assumersi le responsabilità militari». Ma c'è un tarlo che penetra in tutti i discorsi di Prodi: «Dica pure un'ossessione: l'entrata nella moneta unica è la condizione perché possa proseguire anche una politica estera degna dell'Italia: fuori dall'Europa non puoi fare nulla». Un Prodi prudente, tendente al pessimismo? Neanche a dirlo: «Il nostro commercio estero è aumentato moltissimo e il nostro reddito nazionale - in assoluto e pro-capite - è superiore a quello britannico. E questo dato lo ripeto fino alla noia in ogni Paese in cui vado e fa un'impressione enorme. E lo sa perché? Perché la nostra immagine è quella di un Paese meno ricco di quanto effettivamente non sia». Fabio Martini «Dobbiamo essere la porta d'ingresso per andare in Asia» «La vera scommessa è che il Mediterraneo non si increspi» ano, Na mi 1 | nfla ona % per