I prigionieri di una dolce malattia di Pierangelo Sapegno

I prigionieri di una dolce malattia I prigionieri di una dolce malattia Dall'incontro in discoteca all'amore sul cofano PERSONAGGI SCAMBIO DI VELENI BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO Avvertenza. Questo processo è rigorosamente vietato ai minori di 18 anni. Lui la vide in discoteca. Il Number, come dice lei. Aveva una farfalla disegnata sulla caviglia. Le urlò nel frastuono delle Spice Girls e nei bagliori delle luci stroboscopiche: che significa quella farfalla? Lei disse: libertà. Due whisky, la musica che andava. «E ci appartammo subito». Abbordaggio da balera, si fa così. Però, lei, Maria Angiola Assoni, oggi dice che è stata «prigioniera di una malattia». Ed è questa prigione che la accomuna e ci accomuna in tanti. Giacca blu ricamata di bianco, pantaloni azzurri, stivali neri con i tacchi alti. Orologio d'oro, sottile braccialetto d'argento. Non voleva i giornalisti, a quest'udienza. E capiamo perché. Quando tocca a lui, Massimo Foglia, altro che amore e malattia. Sembra un giocatore da biliardo disegnato da Piero Chiara. Risponde con la faccia da bullo di chi mira il punto dando il gesso alla stecca: «Ci siam visti martedì e ovviamente abbiamo avuto un rapporto sessuale». Dove? «Sul cofano della macchina». Tre Punti. E mercoledì? «Rapporto sessuale. Naturalmente». Dove? «Non so se posso rispondere». Non aspetta altro: «Sa, con lei, davanti e di dietro era lo stesso». Volevamo sapere dove. Lei è seduta lì davanti, guarda solo il presidente. «Ah. Al bivio della strada per Palazzolo» Al bivio cult per Palazzolo, magari ci andranno in tanti. Lui ci passava divorando l'asfalto con il suo Tir con i lampeggianti sul tetto e il nome di lei stampato sul finestrino. Maria Angiola: «Sognava troppo. Mi diceva sempre scappiamo con il Tir, io, te e i due bambini. A me andava bene vederlo una volta ogni tanto. E poi i camion non mi piacciono». Ma perché le piaceva tanto?, le chiedono avvocati, pm, presidente. «Perché era dolce». E poi? «Sapeva essere dolce». Solo per questo? «Beh, con uno sguardo mi capiva, sapeva come prendermi, e io ci cascavo sempre». Lui è molto più prosaico: «Facevamo un mucchio di sesso. Lei era gelosissima». Matilde La Grassa, la sua moglie separata, lo conferma, dice che quando Maria Angiola venne da lei pareva che le interessasse solo questo, come faceva l'amore il Massimo e quante altre donne aveva. L'altra gliele elencò, spietata, e se ce n'era qualcuna in più peggio per lei: Miriam, Anna, Tiziana. «Mettiamoci tutte assieme e riempiamolo di botte», esplose Maria Angiola. Beh, Matilde ora deve levarsi un mucchio di soddisfazioni. Velenosa: «Mio marito aveva con lei tutti i rapporti pos- sibili tranne quello orale, perché lei si faceva chiamare principessa e una principessa non si fa mettere in ginocchio». Non c'è più pietà, ormai. Non sappiamo se Maria Angiola se la merita. Però, in quest'aula da strapaese nel cuore di questo spicchio d'Italia così ricco e volgare, adesso pare sola contro tutti. Lei sembra divorata dalla rabbia quando dice che il Massimo «è un gran bugiardo, questo l'ho capito». E ci mancherebbe. «Quando si presentò disse che faceva l'architetto. Aveva una carta d'identità falsa: Massimo Dossena. Poi disse che faceva il geometra. Mi raccontò che vi¬ veva in una villona stupenda, con l'acquario in cristallo, piscine giganti e cose di questo genere». Tocco di fino: «E che sua madre era impiegata da Silvio Berlusconi. Disse pure che aveva una ditta di camion, con 20 dipendenti». La prima sera che uscirono insieme, le sparì il portafogli e guarda caso quando lei si lamentò, lui le fece ritrovare i documenti il giorno dopo: «Sai, ho certi amici, io». Alla fine ammise: «Guido i Tir». E la portò a casa sua. Com'era? «Normale. Un monolocale». Adesso, fa un po' pena, la Maria Angiola, così ingobbita sul microfono, la paura che sale e scende nel respiro, i calzoni di velluto stazzonati e gli occhi che quasi cascano implorando pietà. Il presidente la incalza e la martella. Le chiede, ma se voleva lasciarlo, perché l'aveva convocato a casa sua la sera deh'aggressione a suo marito? «Perché s'è messo a piangere, diceva che si sentiva solo. Allora gh ho detto di venire». E come poteva pensare che il posto migliore fosse casa sua?, insiste il presidente. Lei non sa più che rispondere: «Perché c'erano troppe voci in giro». Risate soffocate tra il pubblico. Era così terrorizzata dalle voci che il giorno dopo l'aggressione al marito, si fanno sco¬ prire in atteggiamento intimo all'ospedale. ((Avete insospettito il maresciallo, i poliziotti, tutti i carabinieri d'Italia. Solo perché lui era tanto dolce?». Silenzio. Presidente: e non è finita. Arriva la scarcerazione, e di fronte alla persona che l'ha proiettata nella ribalta nazionale non facendole fare certo una bella figura, lei non trova di meglio che andare a trovarlo a Canapiglia? Silenzio, di nuovo. Maria Angiola ricorda pure nei tratti del volto la Ballerini, l'amante di un grande giallo degli Aimi Settanta a Torino, il caso Pan. Annaspa, balbetta. Ripercorrono tutta la sera deh'aggressione al marito, il suo incontro con l'amante nella poltrona della sala. Perché quella più scomoda? «Perché era la ima». E' un tormentone: rapporto anale?, le chiedono. Lei soffia qualcosa nel microfono. Dev'essere un sì. Presidente: «Mi ascolta, signora?» Lei vaga con lo sguardo. «Tanto ci dobbiamo rassegnare a queste cose». Fa cenno di sì. Rassegnata, appunto. Lei ha avuto rapporto naturale o anale? Voce chiara e ferma: ((Anale, sì». Volontario o no? «No». In che senso? «Nel senso che senza spogliarci...». Cioè? «Volevo dire, nel senso che purtroppo eravamo hi posizioni terribili, non spogliati, che non consentivano altri rapporti». Sono le 12,35. Lui sbadiglia. Lei ha lo sguardo di ghiaccio. E' costretta a ricordare, ripetere, ribadire, sottolineare. Il Fogha aveva un paio di jeans, una maglia polo blu. ((Allora, è successo che durante il rapporto emisi un urlo. Dalla paura ci ricomponemmo per vedere se era arrivato qualcuno». Vi siete rivestiti? «Mai spogliati». E il Foglia? ((Aveva i pantaloni al ginocchio» Poi? ((Abbiamo ricominciato». Dopo, quando il giallo li mette nei guai e li porta pure in prigione, si fanno telefonate mute, con le musiche in sottofondo «che ci piacevano tanto». Era solo lui che le faceva, dice lei. Era gelosa matta, dice lui. Al massimo, la Maria Angiola lo chiamava per una dedica: «Stanotte alle due, ascolta Radio One. Ho chiesto mia canzone per te». Chissà perché stupirsi, di tutti e due. In fondo, sono così banali, così comuni. Lei, che legge solo Ramses e che tiene sul comò la foto di sua sorella con Pamela Prati. Lui che divora le strade e i sogni con il suo Tir. «Ci sono cascata, mi sono lasciata imprigionare», dice. Anche colpa del sesso, lo ammette alla fine. «Ma c'è un modo per salvarsi?», fa lei. Forse. Scriveva Sant'Agostino: «L'amore uccide ciò che siamo stati perché si possa essere ciò che non eravamo». Che ne pensa, signora? Stupore. Oddio, magari è meglio Pamela Prati. Pierangelo Sapegno

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