Tra i killer del Chiapas

Tra i killer del Chiapas I «mestizos», discendenti degli spagnoli e sostenitori del governo danno la caccia agli indios Tra i killer del Chiapas Nel villaggio che progettò la strage CHENALHO DAL NOSTRO INVIATO Questa è la storia di un viaggio tra gli assassini e gli assassinati, tre ore di strada statale a Nord di San Cristobal De Las Casas: buche e curve a strapiombo sulle colline smaltate di verde tropicale, gh Altos, che si rincorrono a perdita d'occhio sulla grande tavola dell'altopiano - a 2 mila metri d'altezza - carichi di banani e caffè, contro il cielo blu dove galleggiano nuvole bianche e avvoltoi neri. Tre ore, non più di 70 chilometri e quattro posti di blocco militari, per raggiungere il cuore insanguinato del Chiapas, Acteal, paese di indios sparpagliato nella selva - fango, insetti, cani, galline, umidità da togliere il respiro - al cui centro, circondata da crisantemi bianchi, bambini indios che giocano e uomini che ricordano piangendo, c'è la spianata di terra gialla dove sono stati seppelliti i 45 corpi, massacrati il 22 dicembre scorso. Ma gh assassini - come nella vita vera - vengono prima. Esattamente 45 chilometri più a Sud, pueblo di Chenalhò, 46 attivisti paramilitari - la banda calcolata in 260 uomini - già arrestati compreso il capo, che era anche il loro sindaco: Jacinto Perez Arias, militante di area pri, il partito rivoluzionario istituzionale (del presidente Zedillo) che governa il Messico dal 1929. Il paese spunta sotto al sole, in lontananza, alle spalle del primo posto di blocco: triangoli rossi e un'autoblindo di traverso, attenzione, frenare. Fermarsi. Ecco i primi quattro soldati deh'esercito dentro a una minuscola trincea fatta con i sacchetti di sabbia e poi altri otto guerrieri in mimetica, sparpagliati sulT asfalto, tutti con il mitragliatore RI 5 in braccio. Il maggiore ha occhi stanchi e stropicciati: «Identificazione, por favor». Fuma pensoso davanti al pass e ai documenti. «Dove va?». Fino ai campi profughi di Polhò. «E poi?». Acteal. Due soldati perquisiscono l'automobile, bagagliaio, sedili, cassetti interni. Cercano armi, come tutti da queste parti. Molto più a Nord di qui, a sette ore di viaggio, quando finisce la strada e inizia l'immenso nulla della Selva, c'è Marcos con i suoi zapatisti. Fino a quel confine ignoto alle mappe, i 45 mila soldati schierati dall'esercito messicano controllano il territorio. Ma le armi lassù ci sono. E in tutti questi pueblos, tra i paramilitari che vogliono fare la pelle agh zapatisti e agh indios, i carichi di armi arrivano eccome. Agh uomini di Jacinto Perez Arias hanno trovato decine di Kalashnikov Ak 47, pistole automatiche e ricetrasmittenti. Li tenevano proprio lì, in paese, a Chenalhò. «Se vuole un consiglio non si fermi a Chenalhò - dice il maggiore -. Non sono molto ospitali, di questi tempi». Per la verità non lo erano neanche prima. Il paese è uno dei pochissimi dove i discendenti dei maya, gh indiani tzotzil, sono la minoranza, mentre i mestizos, messicani di sangue misto, discendenti dagli spagnoli, superano il 57 per cento. I due gruppi etnici hanno da spartirsi la fame e il cielo. Da 500 anni i mestizos - che nell'intera regione sono il 25 per cento della popolazione - hanno un po' più di mais, un po' più di fagioli, un po' più di riso e il pregiudizio di essere (quasi) bianchi. Abitano le d se di cemento intorno alla piazza, indossano cappelli bianchi alla texana, pantaloni e Stivali neri. Sono piccoli quanto gh indios, ma si sentono assai più alti: è loro la terra, è loro il lavoro. Gh indios non hanno nulla. Né qui, né altrove, se non la loro vita comunitaria: capanne di legno ai bordi dei pueblos, lingua inpenetrabile, vestiti colorati arcobaleno e una nuvola di bambini scalzi - bellissimi di occhi e di sorriso - che si addensano dietro a ogni donna che cammina carica di legna. Li divide la religione: i quasi bianchi sono protestanti, gh indios cattohci. Li divide la cultura, le tradizioni. Li divide la politica: i quasi bianchi sono priisti, gh indios zapatisti, non fosse altro che per i 15 pesos al giorno (nemmeno 4 mila lire) che percepiscono per una intera giornata di lavoro sui campi dei rancheros. E infine li divide il carattere. Tanto gli indios hanno tempera¬ mento pacifico, sguardo mite, modi indifesi - i bambini, appena ti vedono, corrono a nascondersi, le donne chinano la testa, gh uomini si fanno da parte per lasciarti il passo - quanto i mestizos fronteggiano lo sguardo con l'invadenza di una curiosità aggressiva. Eccoh. Dopo aver lasciato l'auto all'entrata del paese perché così dice il cartello scritto a mano, li vedi tutti seduti lungo il muro dell'unica strada che attraversa Chenalhò e arriva alla piazza. Camminare lentamente, sotto a un'unica onda di sguardi, verso il municipio dove fino a due settimane fa lavorara Jacinto Perez Arias. Passare la scuola Benito Juarez. E nella piazza, all'improviso, la voce concitata di un doppio megafono legato al muro esterno del municipio. C'è un comizio priista, la voce sta gridando: «Le menzogne dei giornali e della televisione... I nostri concittadini accusati ingiustamente...». C'è una grande calca nella piazza, nessuna donna, solo uomini incappellati e a colpo d'occhio vestiti identici anche nei dettagli, i pantaloni borchiati, le camicie bianche con il grande colletto, le cinture. Sotto ai megafoni, i militanti: li riconosci dal lungo bastone che portano sul fianco, un manganello nero, con l'impugnatura ammorbidita da quattro grosse strisce di nastro adesivo. Sbigottimento per lo straniero. Mormorii. Adrenalina: «Tu non hai il permesso di stare qui». Quale permesso? «Il nostro». Una paio di giorni fa - rivelato con grande clamore dal quotidiano moderato «Il Financiero» - un rapporto di 36 cartelle dei servizi segreti messicani racconta l'escalation di violenza che ha preceduto il massacro. Cita almeno una dozzina dei 24 attacchi armati che si sono susseguiti nei due mesi precedenti il massacro. Cita la spedizione punitiva contro il paese zapatista di Polhò del 21 novembre: 7 indigeni uccisi, 3 scomparsi, 8 case bruciate, il tutto «con l'appoggio della polizia di Stato». Cita le irruzioni nelle comunità indigene per esigere denaro: «Le estorsioni durano da almeno un anno e i soldi servono alle "guardie bianche" per comprare armi e munizioni». Cita persino le minacce pronunciate pubblicamente dal sindaco Ariaz contro un prete cattolico: «Se non la pianta di fare propaganda zapatista bruceremo lui e la sua casa». Dice il rapporto: «La violenza è cresciuta: le imboscate sono all'ordine del giorno. La situazione a Chenalhò permane ad alto rischio». Arrivano in cinque, con il manganello ben in vista. Il più agitato ha faccia e altezza da ra¬ gazzo, ma spalle da toro. Deve essere il capo: «Non ci vanno gli stranieri». E' solo per parlare. Noi non parliamo». E allora per dare un'occhiata. «Non c'è niente da vedere». Chi ha sostituito il vostro sindaco? «Nessuno». E' quello che sta parlando adesso dal municipio? «Non sta parlando nessuno». Facce o spalli! di un centinaio di mestizos si fanno più vicine. Ressa. Il megafono grida. La gente grida. Occhiate d'odio e odore di birra. Se ogni guerra è fatta a cerchi concentrici, qui siamo nel primo più piccolo, il più feroce, ma anche il più chiaro. C'è prima di tutto il disprezzo razziale a incendiare questo angolo di mondo rurale grande quasi un quarto dell'Italia, ma preziosa cassaforte eli greggio (il 30 per cento dell'intera nazione), di risorse idriche per l'energia elettrica (il 55 per cento di tutto il Messico), di uranio. E in secondo luogo la supremazia economica dei quasi bianchi che nel corso dei decenni e dei secoli) è stata difesa e moltiplicata con l'arbitrio della forza governativa. Gli indios ora hanno Marcos, la Chiosa e specialmente il riverbero mediatico planetario della loro sollevazione che sta mettendo in crisi l'intero Messico, la sua stabilità economica, il suo onore. Via da Chenalhò, dalla sua violenza paesana, dalla sua ottusità carica di rabbia guerriera che ha insanguinato pueblos senza indirizzo, uomini senza diritti. Tutte le testimonianze dell'inchiesta accusano il paese. E confermano la complicità della poli zia di Stato che in questi mesi di violenza è rimasta a guardare Compreso quel 22 dicembre sei ore di potere armato nella comunità di Acteal - quando i piccoli uomini di Chenalhò hanno sparato, tagliato, inseguito, ucciso 45 anime maya devote alla Vergine della Guadalùpe ìuolt.u più che alle buone ragioni di Marcos I loro resti - e Ja loro storia stanno due ore di macchina più a Nord. Pino Corrias (2 - continua) Una folla minacciosa armata di manganelli si avvicina «A noi non piacciono gli stranieri qui non c'è niente da vedere o sentire» A sinistra, guerriglieri zapatisti nel Chiapas. Qui sopra, il subcomandante Marcos, capo dei ribelli della foresta Lacandona

Persone citate: Arias, Benito Juarez, Casas, Jacinto Perez Arias, Perez, Pino Corrias, Zedillo

Luoghi citati: Italia, Messico