Missionari nell'Italia sconsacrata

Missionari nell'Italia sconsacrata L'arcivescovo di Ferrara: dobbiamo difenderci da una sessualità noiosa, irresponsabile, ridotta a gioco Missionari nell'Italia sconsacrata / cattolici scoprono il «boom» delle comunità DAL NOSTRO INVIATO «E' ben noto a tutti come la nostra provincia sia fra quelle che hanno il più basso tasso di natalità. E' un tragico primato che forse ha già consegnato questa nostra città a un destino di annoiato tramonto e di morte». La lettera alle famiglie inviata da monsignor Carlo Caffarra, arcivescovo di Ferrara, nella data non casuale dell'8 dicembre 1997, solennità dell'Immacolata Concezione di Maria, giunge preziosa a raccontarci su quali gambe cammini, pure nell'Italia dei cristiani, l'idea che l'ordine sociale necessiti di un fondamento religioso. Questo cinquantanovenne pastore d'anime, emiliano di Busseto dall'aspetto e dall'eloquio vagamente prodiani, giunto a Ferrara dopo avere per anni insegnato morale all'università e fondato nel 1981 in Vaticano l'Istituto superiore di studi su matrimonio e famiglia, più che mi guardiano della fede integrale, ad ascoltarlo, pare un missionario. Missionario in una terra che fu addirittura pontificia oltre che cattolica, ma ciò non di meno oggi ai suoi occhi figura come scristianizzata. Glielo dico. S'illumina in un sorriso: «Certo che mi sento in terra di missione. Ho proclamato una grande missione cittadina. Li ha visti i manifesti bianchi che ho fatto affiggere in giro per la diocesi? Senza firma, c'è scritto solo "E io ti amo". Nient'altro. Anche là dove l'uomo ha smarrito se stesso deve giungere, per il nostro tramite, la proposta di tornare indietro. Ha presente il figliol prodigo? Non è semplice, ma che festa dopo!». Che sia davvero diventato tanto più difficile compiere la scelta di essere cristiani, oggi, in Italia? Monsignor Caffarra ha il dono di rappresentarla come una scelta affascinante e gioiosa, ma certo impegnativa e distante dalle culture egemoni in una società, come minimo, areligiosa. Caffarra è un missionario impegnato sul fronte più impopolare della Chiesa contemporanea, nella certezza però che si tratti anche del fronte cruciale: sessualità, comportamenti familiari. Ma questa lotta missionaria condotta non in Africa o in Amazzonia, bensì nell'opulenta e sublime Ferrara, merita una premessa: «La Chiesa qui è di fronte a una sfida inedita. Perché dopo esserci misurati con il paganesimo e poi con l'ateismo, per la prima volta dobbiamo fronteggiare la sfida dell'indifferenza. "Se Dio esista o meno, non è un mio problema, perché tanto non mi cambia la vita". Questo è il pensiero dominante. Così è diventato assolutamente impossibile essere cristiani senza aver deciso di esserlo». Scopriremo che la scelta di vivere in modo integrale la propria cristianità, costruendo per sé o per gli altri pezzi di società cristianizzata, sempre più sospinge a costituirsi in comunità. Un fenomeno comunitario poco appariscente ma impetuoso che cambia i connotati della Chiesa e in prospettiva della società. Ma per sapere anzitutto quale impasto di cemento li terrà insieme nella fede, i futuri adepti delle nuove comunità, riprendiamo la lettera alle famiglie ferraresi del missionario Caffarra. L'uomo e la donna, dunque. «Carissimi sposi, vorrei che non vi spaventaste dell'apparente difficoltà che incontrate, ne sono certo, nel leggere queste righe, passando oltre. Sto toccando la radice più profonda e più mquinante della vita matrimoniale oggi». La sessualità impoverita, la contraccezione, l'individualismo. E' questo, secondo Caffarra, il punto d'arrivo estremo di un processo culturale incalzante per «disintegrazioni successive», fino a «smarrire finalmente il senso ultimo della mascolinità e della femminilità, il rapporto originario uomodonna, archetipo di ogni rapporto». Seguiamole, queste «disintegrazioni successive». «La prima consiste nel separare il corpo dalla persona. Uno dei cardini della modernità, Cartesio ne è il padre. Non sono un corpo, ce l'ho». «La seconda disintegrazione consiste nel separare la sessualità dall'amore coniugale. E' quel che sta succedendo, la sessualità ridotta sempre più a gioco». «La terza disintegrazione è quella che separa la sessualità dal dono della vita, con la contraccezione. Ciò ha portato a una deresponsabilizzazione nell'esercizio della sessualità». «Non basta, perchè così facendo abbiamo reso possibile anche l'inverso, cioè la procreazione senza sessualità, artificialmente. E così l'uomo ha smarrito se stesso». Parole amare. Monsignor Caffarra è certo di misurarsi con mia «sessuahtà noiosa». «Me lo dicono i giovani stessi, per questo cambiano spesso ragazza». Gh contrappone la pienezza di gioia interiore e piacere fisico propria del rapporto matrimoniale, quando, lo dice con il poeta Charles Péguy, gran socialista convertito, «il soprannaturale si fa carnale». Naturalmente non è che l'arcivescovo di Ferrara, tra le mura spesse e odorose di minestra del settecentesco palazzo in cui risiede, passi tutto il suo tempo a parlare di sesso, contraccezione, aborto. Ma quella, la fondazione di un solido «rapporto originario», è runica architrave su cui potrà reggersi, con l'educazione dei figli, la nuova comunità cristiana in terra di missione. Ecco dunque le pagine severe dedicate alla scuola denunciando il mancato rispetto in Italia di quel principio di sussidiarietà per cui «ogni altro partecipante al processo educativo non può che operare a nome dei genitori, con il loro consenso e, in certa misura, perfino su loro incarico». Sono parole di Giovanni Paolo II. Caffarra vi aggiunge la protesta contro il «vecchio totalitarismo educativo» e lamenta di avere incontrato famiglie «che sono costrette per ragioni economiche a inviare i figli in scuole che non approvano». Fermiamoci un momento e guardiamoci intorno. I cattolici italiani ormai sanno di rappresentare solo una minoranza del Paese in cui vivono. A riconoscerlo per primi, o almeno a esibirlo con forza ribalda - il termine è affettuosamente fornito da Dino Boffo, direttore di «Avvenire» - furono negli Anni Settanta don Luigi Giussani e i ragazzi di Comunione e Liberazione. «Con la fine della democrazia cristia¬ na, conferma Boffo, l'equivoco è venuto meno, ed è emerso il problema psicologico di noi cattolici italiani: o al potere, o sudditi intimiditi». Questi cattolici italiani, dunque, si riscoprivano minoranza, e intanto, dopo 450 anni, diventava papa uno straniero come Karol Wojtyla; e il mondo sperimentava, quasi in contemporanea, due immense rivoluzioni disarmate, quella islamica di Khomeini in Iran, e quella cristiana di Solidarnosc in Polonia, entrambe condotte per la prima volta nel nome dell'Assoluto contro regimi militari laici all'apparenza invincibili. Cosa c'entra tutto questo? Eccome se c'entra: crolla il comunismo, l'aspirazione a un mondo migliore cambia registro dal terreno secolare a quello religioso, e ritorna l'idea integrale di sperimentare in Terra modelli ebraici, islamici, cristiani di società. Chi lo porta avanti, dunque, nella società italiana, questo progetto radicale di ricristianizzazione? Per prima cosa rivol¬ giamoci ai cielhni. Il luogo comune non vuole forse che sia Comunione e Liberazione il più appariscente movimento integralista sulla scena italiana? Eccoci riuniti nella trattoria di fianco all'abbazia di Chiaravalle, nella nebbia dell'hinterland milanese. In tavola bollito, cassoela, roba tosta, e alla fine Giancarlo Cesana - colui che ha definitivamente allontanato CI dai traffici politici dell'epoca di Roberto Formigoni - accende un toscano e chiede «il solito», cioè una buona dose di whisky. Sempre così, i cielhni: ostentano i peccati veniali, certi come sono di possedere Verità ben più grandi. «Se integralismo è la pretesa di imporre a Dn credenti le regole della fede, allora lei ha sbagliato mdirizzo. Noi rivendichiamo la dimensione pubblica del cristianesimo, non la sua imposizione statuale. Gh islamici e gh ebrei vogliono farsi le loro scuole? Hanno ragione. Anche noi voghamo essere liberi di fare le nostre, dentro una società che disconosce il Divino, in mezzo a tanta gente che non sa più nemmeno recitare un'Ave Maria». A fianco di Cesana annuisce Giorgio Vittadini, barba incolta e pullover sdrucito ma al tempo stesso presidente di un'autentica potenza economica, se è vero che la Compagnia delle Opere associa oltre 7500 imprese cui vanno aggiunti: un migliaio di organismi no profit che coinvolgono 150.000 persone e 200 scuole di ogni ordine e grado frequentate da più di 30.000 studenti. Gh avversari dicono che CI non è più integralista ma spregiudicata, perché si è data agli affari. Più seriamente va osservato come lo slogan di Vittadini - «meno Stato, più società» riassuma la vera svolta liberale di Ci. Nella società che invoca meno Stato e più libertà, cresce la spinta a «far da sé» anche della comunità dei credenti: facciamoci la nostra scuola, la nostra chiesa, la nostra radio, la nostra cooperativa, il nostro pensiona¬ to, e poi l'azienda, il villaggio, la banca, magari in futuro anche il fondo d'investimento. Non deve stupire, allora, se per Cesana «i veri integralisti sono i cattohci alla Rosy Bindi, che pretendono ancora di attribuire allo Stato virtù etiche solo in apparenza cristiane». Certo, la cittadella cristiana autonoma dei cielhni è altra cosa rispetto alla linea ufficiale dei vescovi itahani, tra i quali inoltre è probabile che prevalgane impostazioni più indulgenti di quelle manifestate da monsignor Caffarra. Ma se il presidente della Cei, cardinale Rumi, ha dedicato tanto tempo negli ultimi mesi alla costruzione della tv satellitare cattolica che inaugura il 9 febbraio le sue trasmissioni, è proprio perché anche i vescovi si pongono il problema dell'identità coniugata al dialogo col resto della società. Dino Boffo ha buone credenziali per spiegarcelo. Ha portato il quotidiano cattoheo «Avvenire» al record di vendite delle centomila copie (e pure questo vorrà dire qualcosa); la Cei, dov'è considerato forse il laico più vicino a Ruini, gh ha affidato inoltre la direzione della radio e della tv cattoliche. E lui, trevigiano infaticabile, ripete che «i cattohci devono stare dentro questa società moderna, innervarla del loro contributo creativo, prenderla per il suo verso, rifiutando l'idea blasfema secondo cui Dio, chissà perché, ne avrebbe ritratto il suo braccio». Non piace, a Boffo, «un cristianesimo ulcerato, sdegnato, ultimo travestimento della nostalgia dei tempi in cui ci illudevamo di comandare». Però lo riconosce che il tema della «famiglia minacciata» e più in generale una modernità difficile da digerire, inducono molti «a cercare nicchie di protezione psicologica, magari per ricaricarsi e ripartire missionari nella società». Eccoh rispuntare, i nuovi missionari in terra ex cristiana. Ci sono magari i più ingenui devozionisti, riuniti intorno alla religiosità popolare di «Radio Maria», autentico fenomeno editoriale in perenne crescita. C'è l'impegno sociale ed esistenziale totalizzante dei focolarini. Meno visibile ma ancor più ramificato è il movimento dei neocatecumenali che si organizzano dentro le parrocchie in forma talmente riservata da suscitare i malumori di una parte del clero. Sono, i neocatecumenali, particolarmente agguerriti sul tema della (tfamiglia minacciata». La natalità, l'esuberanza prolifica, rappresenta tra loro un valore spesso esibito, così come l'asso- luta devozione missionaria. Sono ormai proverbiali i raduni neocatecumenali in cui, alla presenza del loro fondatore, lo spagnolo Chico Argueles, vengono estratti addirittura a sorte i nomi degh adepti che partiranno in missione per terre lontane e sconosciute. Poi c'è sempre l'Opus Dei, naturalmente. Movimenti che sfuggono all'occhio laico perché solo di rado interferiscono nella sfera politica, ma la cui crescita contìnua con lo scopo lo ha detto Paolo VI - «di superare la separazione tra la fede e la vita». Torniamo a Ferrara, dove monsignor Caffarra ci aveva spiegato «l'impossibihtà di essere cristiani senza aver deciso di esserlo» in questa società disintegrata. Ovvio quindi che lui preveda una crescita di questi movimenti nel futuro del cristianesimo italiano: «Del resto il Santo Padre h ha definiti il dono più prezioso che è stato fatto alla Chiesa». Ma allora, eccellenza, devo chiederle in che misura lei, missionario, può pretendere d'imporre la sua visione cristiana agh altri. «Io credo in Gesù Cristo perché in Lui ho scoperto la verità del mio essere persona. Dunque, annunciandolo a chi non crede, sono convinto che non sto rubando, ma semmai donando quella persona a se stessa. Restituisco libertà, non la sottraggo». «Dunque i cattohci non pretenderanno leggi civili modellate su quelle religiose?». «Non abbiamo mai preteso una trascrizione integrale della legge morale, ma riteniamo vadano trascritte dallo Stato quelle esigenze dell'ordinamento morale non rispettando le quali è l'edificio stesso della convivenza umana a incrinarsi». «Già, ma chi lo stabilisce? Solo i cattolici?». «Naturalmente no, la comunità nel suo insieme». «Anche su questioni controverse come l'aborto?». «Lei cita proprio un caso in cui l'esigenza morale deve avere una tutela civile. Una delle colonne dell'ordinamento civile e democratico deve essere il rispetto e la tutela della vita umana. Io lo chiamo il minimum eticum». «Eccellenza, già qui lei vive un conflitto con l'attuale ordinamento, ma ancora le chiedo: accetterà la Chiesa i negozi aperti e i turni lavorativi di domenica?». «Contesto la validità civile di tale provvedimento che viola il diritto del bambino a stare un giorno insieme al papà e alla mamma, e inoltre viola il diritto dei coniugi a stare insieme una volta alla settimana». «Non si offenda, ma pare che lei adoperi argomenti civili per mascherare precetti religiosi. Un po' come l'islamico Hamza Piccardo mi elogiava i benefici sociali di un divieto statale dell'alcol». «Naturalmente io credente so qual è il grande significato della domenica, ma gh argomenti civili mi bastano a criticare la soppressione del giorno festivo». «Ai medici e farmacisti cattohci che somministrano la pillola suppongo che invece obietterà con argomenti religiosi...». «Mi spiace deluderla ma anche il loro è un errore deontologico. Perché il dovere del medico è guarire, e la fertilità mica è una malattia. Dunque io medico non sono chiamato a sopprimerla, tanto più che non ho alcun obbligo di obbedienza nei confronti del paziente. Vede che sappiamo ragionare laicamente?». I nuovi missionari sono pacifici ma agguerriti. E la religione, anzi, le religioni, parlano una lingua molto più ricca della no stra, arrivano alla testa e al cuo re per vie innumerevoli e miste riose. Dovremo imparare a farci i conti, con i guardiani della fede integrale. Gad Lerner (3-fine. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 18 e il 21 gennaio) Ora i ciellini appaiono meno integralisti e si sono dati agli affari con oltre 7500 imprese e 200 scuole In difesa della famiglia si battono soprattutto i neocatecumenali 3. Qui sopra Giancarlo Cesana e Chico Argueles A destra alcuni neocatecumenali durante un rito nella basilica romana di San Paolo fuori le Mura