Una «famiglia litigiosa» nel libro di Valerio Zanone di Valerio Zanone

Una «famiglia litigiosa» nel libro di Valerio Zanone UNIONE INDUSTRIALE IL PUZZLE DEL LIBERALISMO Una «famiglia litigiosa» nel libro di Valerio Zanone Il 26, alle 18, all'Unione Industriale, in via Fanti 17, si presenta il libro di Valerio Zanone «L'età liberale, democrazia e capitalismo nella società aperta» (Rizzoli). Con Mario Deaglio, Cesare Romiti, Massimo Salvadori, Gad Lerner. Tel. 5718.439. GESTI e identità politica. Se i cattolici si facevano - e ancora si fanno, ma in chiesa - il segno della croce, se i fascisti alzavano il braccio nel saluto romano, e i comunisti riconoscevano la propria identità stringendo il pugno, da sempre i liberali si salutano con una più civile, sobria e tranquillizzante, anche, stretta di mano. Eppure - o forse proprio per questo - di tutte le famiglie nessuna risulta più litigiosa ed evanescente, più incerta e inclassificabile di quella liberale. E' un'incertezza antica, con implicazioni così inesorabili da comportare addirittura problemi di linguaggio. «In un secolo e mezzo di storia - scriveva Gaetano Salvemini già nel 1946 - la parola "liberale" si è imbevuta di tanti significati diversi. Dice troppe cose e quindi non ne dice più nessuna definitiva». Pur con tale scoraggiante premessa, Salvemini individuava una mezza dozzina di tipologie, a partire dagli oppositori della reazione dispotica e clericale tra il 1814 e il 1848. Questo per dire che, almeno in Italia, la questione di chi sia il «vero» liberale è antica quanto lo stesso liberalismo. Dopo Salvemini, in effetti, all'antico e già diviso ceppo storico del liberalismo si potrebbero aggiungere, con inevitabile approssimazione e semplificazione: Croce e i crociani, Einaudi e la sua scuola economica, quindi un po' di azionismo, il partito liberale di Martino e di Malagodi, poi il gruppo del «Mondo» e la sinistra confluita nel primo partito radicale. Di qui si passa a Pannella, mentre sul lato opposto, quello cattolico, da Sturzo si arriva in qualche modo a Mariotto Segni. Senza che nessuno, sia chiaro, possa comunque rivendicare l'esclusiva. Sulla frontiera socialista, infatti, più o meno in coincidenza con la stagione di Valerio Zanone nel pli e di Bettino Craxi nel psi, per un attimo si afferma la corrente culturale detta «Lib-Lab». Ancora un po' e lungo un arco che investendo libertà e mercato va da Gobetti a Reagan, e da Cavour arriva a comprendere non soltanto Berlusconi e Cossiga, ma perfino D'Alema, sono tutti o meglio si dicono tutti liberali - o post-liberali, meta-liberali, o liberal-qualcosa. Il liberalismo si spezzetta, a quel punto, certamente si banalizza, diviene trasversale, intermittente, si misura a seconda dei momenti, oppure si maschera, stenta a riconoscersi, si nega, va e viene. Così, nel maggio scorso la rivista «Liberal» - che subito i rivali di «Critica liberale» prendono a chiamare «Clerical» - organizza un convegno a Napoli. Ebbene, non si fa a tempo a iniziare che sorge la questione delle questioni: chi è più liberale di chi. Sale alla tribuna Eugenio Scalfari: «Vedete, liberale è una parola ambigua, una parola passe-partout...». Proprio come Salvemini cinquant'anni fa. Non basta stringersi la mano, evidentemente, né considerarsi liberali per esserlo davvero. Filippo Ceccarelli

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