GRAMSCI FRANCESE di Enrico Benedetto

GRAMSCI FRANCESE CONVEGNO GRAMSCI FRANCESE «I quaderni» di Gallimard Martedì 20 gennaio 14,45 nella sala Lauree della Facoltà di Lettere a Palazzo Nuovo, in via Sant'Ottavio 20 si svolge l'ultimo incontro del ciclo organizzato per il sessantesimo anniversario della morte di Antonio Gramsci. Tema del dibattito - curato da Facoltà di Lettere e Filosofìa, Istituto Gramsci, Centro Studi Gobetti, Fondazione Firpo e Centro di Studi sul Pensiero Politico - è «Gramsci in Europa: "I Cartiere de prison", l'edizione Gallimard dei Quaderni». Intervengono Robert Paris dell'Istituto di studi superiori in Scienze Sociali di Parigi, Massimo Salvadori del dipartimento di Storia e Franco Sbarberi del dipartimento di Studi Politici dell'Università. Conduce Nicola Tranfaglia, preside di Lettere e Filosofia. Per informazioni tel. 839.54.02. EL sondare le fortune di Antonio Gramsci in Francia, è difficile sfuggire all'impressione che il tardivo happy end - i monumentali «Quaderni dal carcere» per i tipi Gallimard costituiscono un autorevole omaggio postumo - seppellisca con baldanza eccessiva ostracismi, tiepidezze, rancori antichi. Se il pensatore sardo trova oggi la sua brava nicchia in un Pantheon gauchiste ove la destalinizzazione libera non pochi spazi per nuovi inquilini, come dimenticare le sue peripezie in terra francese? Ad essere sinceri, fu Gramsci che attaccò briga. Nei suoi «Cahiers de prison» lo vediamo eseminare in dettaglio con perizia da entomologo l'Action Francaise e il pensiero maurassiano. Ma nulla o quasi sulla Sinistra Oltralpe. Lo appassionavano, insomma, più i «nemici» che i presunti - compagni di strada. Sulle prime, il pcf lo ripagò con egual silenzio. Poi giunsero critiche e calunnie. Le incomprensioni erano, almeno parzialmente, specchio del contenzioso ideologico che separava pei e pcf. Coetanei al battesimo (Livorno e Tours li emanciparono entrambi dai rispettivi socialismi nazionali), li divise già l'anteguerra. Esilio, confino, prigione... in Italia. Sull'altra sponda lunga marcia verso il potere, effimero trionfo con il Front Populaire, poi la crisi bellica. Nel dopoguerra, le parti sembrano invertirsi. Il comunismo italiano ascende soffocando il psi, quello transalpino s'inabissa fino a divenire esangue, facile preda del machiavellico Mitterrand. Alla sfasatura si aggiungono incom- prensioni personali (fra Maurice Thorez, autoritario ma opaco apparathnik, e Togliatti non sbocciò mai una qualche simpatia), diffidenze, invidie. Per la prima antologia gramsciana bisognerà attendere il 1957. Budapest '56 sdoganava alfine un intellettuale in odor d'eresia. Ma alla riscoperta segue un nuovo oblio. Ci vorrà Althusser, negli Anni 60/70, per esumarlo. L'operazione è nondimeno ambigua. Al filoso marxista preme confutare Gramsci. Lo farà dunque conoscere solo per meglio attaccarne il pensiero. E ancora nel 1978, malgrado un eurocomunismo in ricerca spasmodica di padri nobili, la Gauche comunista non cela dubbi e reticenze dinanzi all'ipotetica riabilitazione. . Ne aprofitterà il ps, annettendosi in qualche misura un nome che inizia a lasciare cellule e seminari accademici per cercar pubblico altrove. Ma l'uso è, guarda caso, strumentale. Si valorizza Gramsci per rimproverare al pcf di non averne saputo «produrre» neppure una pallida copia. Ergo: Marchais non vale Berlinguer, e se il gramscismo dovesse reincarnarsi opterebbe per la Rosa mitterandiana. Ostaggio di stagioni politiche convulse, Antonio Gramsci conosce fortune editoriali alterne. Lo si traduce con parsimonia, e a bocconi. L'ampia collezione Gallimard finirà dunque per costituire un mausoleo nel deserto, o quasi. E riparare una lacuna storica: il più celebre degli sconosciuti ha ormai la cittadinanza francese. Enrico Benedetto

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