CIAJKOVSKIJ E IL CAPOLAVORO DI PUSHKIN di Sergio Trombetta

CIAJKOVSKIJ E IL CAPOLAVORO DI PUSHKIN CIAJKOVSKIJ E IL CAPOLAVORO DI PUSHKIN La sera del 13 maggio del 1877 Piotr Ilic Ciajkovskij è ospite a Mosca della cantante Elizaveta Andreevna Lavrovskaja. «La conversazione verteva su soggetti d'opera - ricorda il musicista in una lettera -. Il suo stupido marito ciarlava di inimmaginabili assurdità e proponeva i soggetti più impossibili (...) Lizaveta Andreevna d'un tratto ha detto: "Perché non prendere Evgenij Onegin?" Questa idea era così assurda che non ho profferito verbo. Più tardi pranzando da solo, ho incominciato a trovare l'idea della Lavrovskaja possibile, poi mi sono entusiasmato e alla fine del pranzo mi sono deciso. Sono corso subito a cercare il libro di Pushkin. Con difficoltà ne ho scovato uno, sono andato a casa, l'ho riletto con entusiasmo e ho passato una notte completamente insonne, il risultato della quale è stato un libretto per opera incantevole con il testo di Pushkin». Nasce così l'«Onegin», opera basata sul romanzo in versi, capolavoro assoluto, fra i monumenti fondanti della letteratura russa dell'800, dove ironia e cinismo ancora settecenteschi (Pushkin nasce nell'epoca dei Lumi) si mescolano a inquietudini romantiche. Qui il protagonista è il tipico «uomo inutile» (lishnij celovek) onnipresente nella letteratura dell'epoca: è l'uomo privo di un ruolo nella società, annoiato, pervaso da un senso di inutilità dalla quale saprà sfuggire soltanto lanciandosi nell'impegno politico nei moti decabristi del 1825, il primo fallito tentativo di rivolta antizarista. Ma non è certamente questo l'aspetto di «Onegin» che più colpisce Ciajkovskij. Rileggendolo con il suo esasperato tardoromanticismo, il musicista vede in «Onegin» destini disperati e assoluti, la cui massima incarnazione è Lenskij, romantico supremo, votato alla morte. Una lettura figlia del secondo 800 che idealizza e porta all'estremo sentimenti e passioni. Ed è questo il massimo stravolgimento dell'«0negin», oltre al fatto, evidente, che l'opera racconta in moto ellittico la vicenda presentandocene solamente alcuni momenti. C'è poi la leggenda, ampiamente raccolta da Ken Russell nel film «L'altra faccia dell'amore», secondo la quale Ciajkovskij si identifica in Onegin perché, proprio mentre sta per porre mano all'opera, riceve una lettera dichiarazione d'amore dalla sua futura infelice moglie Antonina Miljukova, in tutto simile a quella che Tatjana invia a Onegin. Sarebbe facile proseguire nel gioco delle identificazioni e sovrapposizioni e vedere in Onegin-Ciajkovskij l'uomo che rifiuta Tatjana perché non può amarla, salvo lanciarsi in un ultimo, disperato tentativo di conquistarla quando oramai la donna gli è definitivamente e sicuramente negata. Resta da considerare invece che con «Onegin», e più tardi con la «Dama di Picche», Ciajkovskij prosegue gloriosamente la tradizione operistica russa di cogliere a piene mani da romanzi, racconti, tragedie e poemi di Pushkin. Il primo fu Michail Ghnka nel 1842 con «Ruslan e Ljudmila», lo seguirono, fra gli altri, Musorgskij con «Boris Godunov», Dargomyzhshkij con «Il convitato di pietra» e la «Rusalka», Rimskij Korsakov con «Mozart e Salieri». Sergio Trombetta

Luoghi citati: Mosca