Il Grande Inquisitore di F. P.

Il Grande Inquisitore Il Grande Inquisitore Starr, quattro anni da mastino QNEW YORK UANDO Monica Lewinsky, nel corso della giornata di oggi, andrà a deporre davanti agli avvocati di Paula Jones, impegnatissimi a dimostrare attraverso di lei che Bill Clinton è uno che quando vede una donna si accende come una lampadina, non sarà solo il Presidente a trepidare, ma anche lo «special prosecutor» Kenneth Starr. La scelta che Monica farà sulle tre opzioni che ha di fronte (confermare la propria dichiarazione giurata in cui dice che fra lei e Clinton non c'è mai stato nulla; negarla per confessare che sì, in realtà fra loro c'era una «sexual relationship» e lei aveva mentito; richiamarsi al Quinto Emendamento che le consente di tacere se ritiene che le proprie parole possano essere usate contro di lei), sarà una specie di «sentenza di morte» per l'uno o per l'altro dei due contendenti. La loro sorda lotta, che va avanti ormai da quasi quattro anni, è infatti arrivata a un punto in cui non ci sono più margini: se ha ragione Starr, Clinton rischia l'impeachment; se ha ragione Clinton, Starr è perduto. L'aver montato un pandemonio del genere basandosi su qualcosa che poi risulta infondato significherebbe per lui niente altro che la fine della sua avventura sulla scena americana. Lui lo sa perché a quella fine in questi anni c'è andato vicino varie volte. I suoi tentativi di incastrare Clinton con la storia del Whitewater sono regolarmente falliti, e ogni volta che l'anguilla Clinton riusciva a sfuggirgli lui chiedeva un ampliamento della sua inchiesta, dicendo che gli serviva per dimostrare che gli era stato impe- dito di indagare come si deve. Così sotto la sua giurisdizione sono man mano finiti anche il suicidio di Vincent Foster; lo smantellamento dell'agenzia di viaggi della Casa Bianca voluta, a quanto paro, da Hillary; i «file» messi insieme dall'Fbi sui dipendenti governativi e tante altre cose. Ma lui non è mai riuscito a stringerne nessuna, tanto che ormai da tempo le proteste contro i soldi che stava spendendo a vuoto (proteste interessate, naturalmente, come erano quelle contro Lawrence Walsh, che non riusciva a incastrare Ronald Reagan sullo scandalo Iran-contras) stavano trovando orecchie sempre più sensibili. E quando tempo fa Kenneth Starr aveva annunciato di volore accettare l'offerta di andare a insegnare in California, alla Pepperdine University, la reazione prevalente era stata: bell'inquisitore, che decide di mollare il suo lavoro così. E quando proprio in seguito a ciucila reazione lui aveva detto che va bene, allora non me ne vado, i commenti erano stati: ma che razza di personaggio è questo, che cambia idea cosi facilmente? Insomma il buco - anzi i buchi - nell'acqua cui sembrava ormai destinato (mentre dall'altra parte Clinton si godeva la rielezione, i trionfi dell'economia e il «ma chi se ne importa» della maggioranza del pubblico sulla storia di Paula Jones) gli avevano fatto già assaporare da vicino il cattivo sapore della sconfitta. La Linda Tripp che gli porta su un piatto d'argento la storia di Monica e che si offre di mettersi addosso i suoi microfoni dov'essere apparsa a Kenneth Starr come un angelo mandato dal cielo. L'ultimo «ampliamento» che è costretto a chiedere è un po' bizzarro, la sua attinenza con la faccenda Whitewater è inesistente, ma promette di essere quello decisivo. Il sogno di Starr di incastrare finalmente Clinton, anche se su una cosa del tutto diversa da quella da cui era partito, sembra avverarsi e lui si lancia a capofitto. Ciò che ancora non è del tutto chiaro è se ha il paracadute (cioè se le accuse che ha rivolto al Presidente sono «sostanziate») o se il suo desiderio di vendetta contro l'anguilla gli ha annebbiato le facoltà. Ma oggi, con le risposte di Monica agli avvocati di Paula Jones, si avranno molti elementi per sapere chi dei due contendenti ha finito per vincere questa lunga battaglia. [f. p.]

Luoghi citati: California