Una bionda spione di Franco Pantarelli
Una bionda spione Una bionda spione Linda, regista degli scandali U NEW YORK N caso o un piano freddamente elaborato ed eseguito, l'amicizia che la matura e navigata Linda Tripp ha coltivato a lungo con la molto più giovane Monica Lewinsky, fino a ottenere le sue confidenze e a registrarle di nascosto? Agli effetti legali, cioè dell'accertamento di che cosa sia davvero accaduto fra Bill Clinton e Monica, la questione può non avere molta rilevanza (se non quella di notare quanto spesso la realtà finisca per somigliare ai film). Ma un'occhiata da vicino a questo personaggio è decisamente interessante. Linda Tripp alla Casa Bianca era stata assunta durante l'amministrazione Bush. Clinton e i suoi uomini l'avevano quindi «trovata», ma non avevano avuto problemi a metterla in posti che non erano di responsabilità ma le consentivano di osservare molte cose. In pratica, non c'è stata nessuna delle brutte vicende che hanno punteggiato la vita dell'amministrazione Clinton in cui lei, la bionda quarantottenne Linda che ogni sera se ne tornava nella sua casetta sperduta fra molte altre simili nel Maryland, non sia in qualche modo entrata. Il suo primo incarico è di segretaria di Bernard Nussembaum, il primo consigliere legale di Clinton che poi si dimetterà per «sospetta ostruzione della giustizia» nel caso Whitewater. Le capita di essere l'ultima persona a vedere vivo Vincent Foster, il vice di Nussembaum, quella sera del 1993 in cui lui si spara alla tempia, apparentemente perché disgustato dalle bassezze della lotta politica, e come tale va a testimoniare davanti alla commissione d'inchiesta del Congresso. Non dice le cose che i suoi capi si aspettano che dica, anzi crea parecchi imbarazzi, e così viene spedita «in Siberia», come dicono alcuni suoi colleghi, intendendo il Pentagono. Anche lei, per quanto se ne sa, considera il Pentagono una Siberia e ritiene Bill Clinton il responsabile numero uno del suo trasferimento, tanto che poco dopo si vendica raccontando a Newsweek la storia di Katbleen Willey, l'impiegata «presa» da Clinton nell'Ovai Office e trascinata in un ufficetto privato, per poterla palpeggiare per benino. In quel caso lei dice che in fondo sta facendo un favore a Clinton, perché la sua storia si conclude con l'osservazione che alla Willey quell'assalto era piaciuto e quindi almeno in quel caso non si può parlare di «harassment» da parte del Presidente. Ma nessuno accolglie quella tesi e Robert Bennett, l'avvocato che da un po' di tempo non fa che curarsi delle questioni sessuali che circondano Clinton, la bolla di «inattendibile». Ah è così?, si dice probabilmente la Linda Tripp. Vuol dire che la prossima volta provvedere a documentarmi come si deve. Detto fatto. Di lì a poco arriva al Pentagono, proveniente anche lei dalla Casa Bianca, Monica Lewinsky, giovane e depressa. Linda, comprensiva e quasi materna, l'esorta a confidarsi e lei le racconta di essere innamorata di Clinton, che con lui ha avuto una relazione durata più di un anno e che è stata allontanata dalla Casa Bianca perché con la storia di Paula Jones che sta montando la sua presenza era rischiosa. Ma lui non l'ha dimenticata, aggiunge Monica. Ogni tanto le lascia messaggi infuocati alla segreteria telefonica. «Li vuoi sentire?», dice una sera mentre le due donne parlano al telefono, una nella casetta del Maryland e l'altra nel suo appartamento al Watergate che può permettersi solo perché il padre è un facoltoso medico di Beverly Hills. Non solo Linda li vuole sentire. Provvede anche a registrarli. Poi registra anche altre cose che Monica le racconta, come il fatto che Clinton e il suo amico Vernon Jordan l'hanno indotta a fare la sua dichiarazione giurata da presentare al procedimento Paula Jones. Stavolta non mi diranno che sono inattendibile, si dice Linda, e corre dallo «special prosecutor» Kenneth Starr. Franco Pantarelli :*'V»V$
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